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Dal dì, che da quest’ isola si tolse
     Perseo, per gire à si dubbiosa impresa,
     Abbandonar non mai Minerva il volse,
     Ma si trovò per tutto in sua difesa.
     Come poi ne la patria ei si raccolse,
     Havendo ella la mente altrove intesa,
     Lascia il fratello, e verso il santo monte
     De le figlie di Giove alza la fronte.

Com’ella giunge à l’elevato tetto
     Di gemme adorno, e d’artificio, e d’oro,
     E vede insieme il bel numero eletto
     Del sacro, dotto, e venerabil choro,
     Con quella dignitate il suo concetto
     Apre à le Dee, che à lei conviensi, e à loro,
     E con parole saggie, e grato modo
     Cosi disciolse à la sua lingua il nodo.

Di voi talmente in ogni parte suona
     La fama prudentissime sorelle,
     Ch’à celebrare il monte di Elicona
     Tirato havete tutte le favelle.
     Ma più d’ogni altra cosa si ragiona
     De le nov’acque cristalline, e belle,
     Ch’à quell’augello qui far sorger piacque,
     Che di Medusa, e del suo sangue nacque.

Del sangue di Medusa egli formosse
     In un batter di ciglio, e ’l vidi anch’io.
     E poi ch’ in Ethiopia egli involosse
     Nascosamente à un fratel vostro, e mio,
     La fama m’apportò, che qui voltosse,
     E co’l piè zappò in terra, e nacque un rio,
     Il più chiaro, il più puro, e ’l più giocondo,
     Che fosse mai veduto in tutto il mondo.

Ond’io, che più d’ogni altra veder bramo
     Le vostre maraviglie, i pregi nostri,
     Che la virtù, che v’orna, ammiro, et amo,
     Venuta sono à i dotti ornati chiostri.
     E per quel padre, che comune habbiamo,
     Vi prego in cortesia, che mi si mostri
     La nova fonte, e più d’ogni altra chiara,
     E s’altra cosa in questo monte è rara.

Fer le cortesi Dee con lieto volto
     Palese à la pudica, e saggia Dea,
     Che ’l virginal collegio ivi raccolto
     Pronto era à tutto quel, ch’ella chiedea.
     E verso Urania ogn’una il ciglio volto,
     Che nel Senato allhor tal grado havea,
     Tutte con gran rispetto atteser, ch’ella
     Fosse la prima à scioglier la favella.

Qual si sia la cagion, ch’al monte nostro
     Lieta (le disse Urania) hoggi vi rende
     L’acqua, gli antri, le selve, i prati, e ’l chiostro
     Quanto il nostro dominio si distende,
     Tutto saggia Tritonia, il monte è vostro,
     Nulla al vostro desio qui si contende,
     Pur dianzi il Pegaseo qui battè l’ale,
     E ’l fonte fe, c’hor di veder vi cale.

Nume ne l’alto regno io non conosco,
     Che ne potesse ritrovar più pronte.
     E s’havrete piacer di venir nosco,
     Non sol vi mostrerem la nova fonte,
     Ma il tempio, i libri, le ghirlande, e ’l bosco,
     Et ogni altro thesor, ch’eterna il monte.
     E in un tempo per man la prese, e tacque,
     E con l’altre n’andar verso quell’acque.

Sorger la Dea d’un vivo sasso vede
     Quel fonte vivo, cristallino, e bello.
     Che nacque lì zappando con un piede
     Il novo Meduseo veloce augello.
     Loda il vaso capace, ù surge, e siede,
     Loda il lascivo, e lucido ruscello.
     Loda gli antri, le selve, i prati, e i fiori,
     E tutti gli altri lor pregi, et honori.

Felice monte, ella soggiunse poi,
     Che si dotte sorelle ascolti, e chiudi,
     Che fan, che gl’infiniti pregi tuoi
     Non restan come gli altri inculti, e rudi.
     Degne ben sete Dee del loco voi,
     E degno è ’l loco de bei vostri studi.
     Voi culto, illustre, e celebre il rendete,
     Et ei vi dà il diporto, che vedete.