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Ma quei puniti fur meritamente,
     Che fer torto al cortese cavaliero,
     Ma Aconto, che di questo era innocente,
     E combattea per Perseo ardito, e fiero,
     Tosto, ch’ incauto al mostro pose mente,
     La carne trasformò, perdè il pensiero.
     Astiage si credea, che vivo fosse,
     E d’un man dritto in testa empio il percosse.

La spada lampeggiando il capo fiede,
     E spicca un sasso, e in su balza, e s’arretra,
     Maravigliato, il colpo ei guarda, e vede
     Una ferita essangue in sù la pietra.
     Hor mentre vuol toccarlo, e che no’l crede,
     E stà tutto confuso, anch’ei s’impetra.
     Dove anchor guarda attonito, e stordito,
     E la ferita sua tocca col dito.

Ognun restò ne l’atto, ov’era intento,
     Quando il capo crudel venne à mostrarsi,
     Ma saria troppo à dirne, e cento, e cento,
     Che per tutta la sala erano sparsi,
     Per Perseo, e contra Perseo, e in un momento
     Fur visti tutti quanti trasformarsi.
     Perseo insaccar pensa il suo mostro, e intanto
     Combatter sente anchor ne l’altro canto.

Fineo disposto uccider il nemico
     Con Climeno, e molti altri à questo intende,
     Et ei con più d’un forte, e fido amico
     Valoroso in quel canto si difende.
     Il volto, che nel tempio fu impudico,
     Anchora in parte stà, che non gli offende.
     Il Greco andar vi vuole, e stà confuso,
     Che d’ogn’intorno l’han le statue chiuso.

Secondo, ch’era intorno assediato,
     Non molto pria da gli huomini, e da l’armi,
     Cosi poi, che ciascun fu trasformato.
     Restò chiuso in quel canto da quei marmi,
     Non si trovando allhora il piede alato,
     Monta sopra una statua, e veder parmi
     Quei, ch’Ercole imitar sanno co’l salto,
     Quando l’huom sopra l’huom sormonta in alto.

Climeno intanto, e Fineo haveano morti
     Odite, e gli altri, e s’erano inviati
     Là dove i Persi s’eran fatti forti:
     Ma quando vider tanti sassi armati,
     Stupidi in atti star di mille sorti,
     Restar com’ essi attoniti, e insensati,
     E allhor si ricordar, che ’l cauto Greco
     Il sassifico mostro havea ogni hor seco.

Mentre Fineo con lui si maraviglia,
     E pensa seco andar verso la scala,
     Vede, ch’egli non batte più le ciglia,
     E che lo spirto il gozzo non essala.
     Subito chiude gli occhi, e si consiglia
     D’abbandonar la stupefatta sala.
     Non sà dove si sia l’esterno Duce,
     Ne per saperlo aprire osa la luce.

Dapoi, che ’l cavalier di Grecia scese
     Da marmi, che gli havean serrato il passo,
     Dritto ne và dove il contrasto intese,
     Ne vi trova huom, che non sia morto, ò sasso.
     Poi vede il disleale, e discortese
     Fineo, che move brancolando il passo,
     E le man stende innanzi, c’hà paura
     Del volto fier, ch’altrui la carne indura.

Guardando stassi, e tien la risa à pena,
     Che spesso in qualche statua urta la mano.
     E perche i morti, onde la sala è piena,
     Spesso il fanno intoppare, e gir più piano,
     E più, che quel camino in luogo il mena
     Dal desiderio suo molto lontano,
     Ch’ei per fuggir vorria trovar le scale,
     E quello il mena dritto al suo rivale.

Hor come di quel moto, e di quel riso
     Fece l’attenta orecchia il Moro accorto,
     Crebbe il timore, e prese un’ altro aviso,
     Per non restare, ò simolacro, ò morto,
     Di non aprir mai gli occhi al crudo viso,
     Ma confessare al suo nemico il torto.
     E fatta à timidi occhi un’altra chiusa
     Con tutte due le man, cosi si scusa.