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In prima Molfo, e dopo uccide Enone,
     E Clito, e Flegia il cavalier esterno,
     E di ciascun, ch’al suo furor s’oppone,
     L’alma in un colpo, ò due manda à l’inferno.
     Seguon lui due fratei Brotea, et Ammone,
     E Odite, che del Regno havea il governo,
     E con animo invitto, e saggio aviso
     Fecer di nuovo à lor mostrare il viso.

Ma i Mori, che restar da l’altro lato,
     Vedendo guerreggiar nel corno manco,
     E’l destro restar tutto abbandonato,
     Strinsersi insieme, e à Persi dier per fianco.
     Come vide con pochi esser serrato
     Da tanti, e tanti neri il guerrier bianco,
     Si tirò in un canton, che ’l fea sicuro
     Quinci un superbo armario, e quindi il muro.

E à quei, che seco lì si ritiraro,
     Disse, armar ne convien d’invitto core,
     Se voi mi fate tanto di riparo,
     Ch’io possa trar di questo sacco fuore
     L’empia Medusa, costerà lor caro
     L’oltraggio, che n’ han fatto, e ’l dishonore.
     Vi trarrò tutti à un tratto di periglio,
     Ma al primo motto mio chiudete il ciglio.

I seguaci di Fineo, freschi, e molti
     Fieri combatton contra pochi, e stanchi;
     Ma i Persi con gran cor mostrano i volti
     Dapoi, che s’hanno assicurati i fianchi.
     Di quei, che fuor di quel canton fur colti.
     Molti ne mandar giù pallidi, e bianchi.
     Molti, che fur più fieri, e meglio accorti,
     In un’ altro canton si fecer forti.

Fra i quali Odite fu, che ’l primo grado
     Levato quel del Re nel regno havea,
     Fineo l’odiava à morte, ch’à mal grado
     Di quei del sangue regio egli il tenea,
     E perche vien l’occasion di rado,
     Vedendo, che con pochi ei difendea
     La fronte d’un canton ristretto, e forte,
     Andò per dargli di sua man la morte.

L’odio, che porta à Odite, e la paura,
     Che n’hà per quel, ch’ei può co’l suo fratello,
     Fà, che de l’odio antico hà maggior cura,
     E s’oblia per allhor l’odio novello.
     Perseo intanto à colei, che l’huomo indura,
     Havea scoperto il viperin capello,
     E gli amici avisati, e ’l tempo tolto,
     Alzò in fronte al nemico il crudo volto.

Tessalo alza la man per trarre un dardo,
     E dice armati pur di più fort’armi,
     Ch’io farò te col tuo mostro bugiardo,
     Se d’altro contra il mio ferir non t’armi;
     Volle snodare il braccio, ma fu tardo,
     Che tutti i membri suoi si fecer marmi,
     Co’l braccio destro alzato, che s’arretra,
     E co’l piè manco innanzi ei si fe pietra.

Neleo nel tempo istesso il Greco vede,
     Che con altr’arme à la vittoria aspira,
     E che mostra quel capo, e che si crede,
     Che debbia marmo far ciascun, che ’l mira;
     Vuol per girlo à ferire alzare il piede,
     E trova, che ’l gran peso abbasso il tira,
     E anchor l’ immarmorite, e stupid’ossa
     Mostran, che correr voglia, e che non possa.

Erice, ch’à quei due, c’havean la scorza
     Di marmo era vicino, e combattea
     Co’ soldati di Perseo, che per forza
     Con molti altri in quel canto entrar volea,
     Mentre, che chiama aiuto, e entrar si sforza,
     Vede stupidi i due, ch’appresso havea,
     Gli guarda, e vuol con man la prova farne,
     E in somma son di sasso, e non di carne.

Si tira à dietro, e al ciel le mani alzando,
     Gli guarda, e dice. oh Dio, che cosa è questa?
     Ne vuoi far sassi, come fummo quando
     Deucalion ne fe la mortal vesta ?
     Et in quell’atto attonito parlando,
     Un marmo con le labra aperte resta,
     Con tese braccia, e stupefatte ciglia
     Guarda quei sassi, e se ne maraviglia.