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Mentre guardando in terra al cielo aspiro,
     Per gire à le mie parti amene, e belle,
     Et ascolto ogni pianto, ogni martiro,
     Che dicon le due Gree, con le sorelle,
     Unirsi il sangue di Medusa miro,
     E fare altro colore, et altra pelle;
     E ’n manco tempo, ch’io non l’ho contato,
     Si fe guarnito un bel cavallo alato.

Io, che’l veggio si forte, agile, e bello,
     E tanto atto al maneggio, al volo, al corso,
     D’un volo vò su’l quadrupede augello,
     Ch’ io vo veder, come obedisce al morso.
     E ’l trovai si latin, veloce, e snello,
     Che su lui tutto l’aere ho visto, e corso.
     E dopo haver cercato il mondo tutto,
     À farmi sposo il vol qui m’ ha condutto.

À tal successo sol fu questo aggiunto,
     Che per non esser falso, ne pergiuro,
     Come al giardin fu de le Ninfe giunto,
     Lasciò l’elmo infernal dentro al lor muro.
     Poi credendo arrivato essere al punto,
     Chiuse la porta al suo parlar, ma furo
     Quei Principi si vaghi del suo dire,
     Ch’anchor questo da lui vollero udire.

Dimmi ti preghiam Perseo, gli fu detto,
     Perche de le tre giovani, à sol una
     Fer mostruoso i serpi il primo aspetto?
     Dì, se fu suo peccato, ò sua fortuna?
     Perseo, che pria, che gisse al lor ricetto,
     Volle saper la sorte di ciascuna,
     E sapea de le serpi, e de’ crin d’oro,
     Così rispose à la richiesta loro.

De le tre prime, che di Forco prole
     Furon, Medusa sol nacque mortale:
     Ma fu ben di bellezze uniche, e sole,
     Senza havere à suoi giorni al mondo eguale.
     Divino il volto, ogni occhio un vivo Sole
     Onde scoccava ogn’hor l’aurato strale
     Cupido, e sopra ogni altra hebbe i capelli
     Biondi, lunghi, sottili, ornati, e belli.

Vede il rettor del mare il suo bel viso,
     E quanto l’aurea chioma arde, e risplende,
     Vede gli occhi soavi, e ’l dolce riso,
     Ne si parte da lei, che se n’accende.
     Non gli occorrendo allhor migliore aviso,
     La forma d’un cavallo approva, e prende,
     E infiamma à un tratto lei di quel desiro,
     Del quale accese Europa il Toro in Tiro.

Come ha ’l rettor del pelago il suo amore
     Fatto montar su’l trasformato dorso,
     Entra ne l’alto suo salato humore,
     Poi per le note strade affretta il corso;
     E senza uscir de l’Africano ardore,
     In terra à se medesmo affrena il morso.
     E presa la viril spoglia di prima,
     Fà si, ch’ottien di lei la spoglia opima.

Ma non havendo luogo più vicino
     Da satisfare à le veneree voglie:
     Non riguardando al pio culto divino,
     Spogliata questa, e quel, tutte le spoglie,
     Nel tempio di Minerva il Re marino
     Ne le sue braccia ignuda la raccoglie.
     Per non veder quel mal l’offeso Nume
     Lo scudo oppose à lo sdegnato lume.

Poi per punir d’un’ atto si lascivo
     Colei, ch’errò nel suo pudico tempio,
     L’illustre crin del suo splendor fe privo,
     Perch’ella fosse à l’altre eterno essempio.
     Die l’alma al suo capello, e fello vivo,
     Fe d’ogni crine un serpe horrendo, et empio,
     E i begli occhi, ond’Amor già scoccò l’armi,
     Volle, che i corpi altrui facesser marmi.

E per far, ch’altra mai donna non tenti
     Lasciva à lei mostrare il corpo ignudo,
     E per terror de le nemiche genti,
     Fe scolpir natural quel volto crudo,
     Con gli horrendi, e pestiferi serpenti,
     Nel suo famoso, et honorato scudo.
     E per altrui terrore, e sua difesa,
     De le sue insegne il fe perpetua impresa.