Guarda qui dentro, e poi vanne à l’indietro,
Et à lei giunto d’un rovescio dalle,
Che l’aere ripercosso in questo vetro,
Ti mostrerà da pervenirvi il calle.
Come la vedi degna del feretro,
Che l’harai tolto il capo da le spalle,
Volgi sicuro à lei lo sguardo, e ’l passo,
Che s’hai lo scudo, non ti può far sasso.
Poi che m’hebbe del fatto à pieno instrutto,
E di torre à le due l’unico lume,
Io me ne vado in aria alto condutto,
Verso le Gree da le Cillenie piume.
Hor sotto ho ’l mare, hor v’haggio il lito asciutto,
Ne m’arresta aspro monte ò largo fiume.
Giungo al lor luogo, e smonto in un boschetto,
Dove m’havea la mia sorella detto.
Stommi in quello albereto ombroso, e folto
Fin ch’escon nel giardin per lor diporto:
E riguardo per tutto, e non sto molto,
Ch’ambe io le veggio passeggiar per l’horto.
Miro fra fronde, e fronde ad ambe il volto,
Insin, che l’occhio illuminato ho scorto,
Sto cauto, e come commodo mi viene,
Volo dietro à colei, che l’occhio tiene.
Mentre à la vecchia, ovunque si diporta
Io son sempre à le spalle, odo che chiede
Quell’occhio, ilquale illumina, chi’l porta,
La Grea, che ne stà senza, e che non vede.
La sorella, cortese e poco accorta
Se’l cava da la fossa, dove siede.
Stendo io la mano, mentre à l’altra il porge,
E dallo à me per lei, ne se n’accorge.
Allhor di un volo alquanto io mi discosto,
Et odo anchor colei, che l’occhio vole,
L’altra risponde, haverglielo in man posto,
E van multiplicando le parole.
Io non potei tener le risa, e tosto
Volan ver me per racquistare il Sole,
Ma ne’ Coturni havendo anch’io le piume,
Prender non mi potean senz’il lor lume.
Al fin se voller l’occhio, lor fu d’huopo
Di torsi via d’ogni altra opinione,
Giurar condurmi al destinato scopo,
Et impetrar la cuffia di Plutone.
Rendo lor l’occhio desiato, e dopo
Voliam per l’invisibil morione.
Servan le Ninfe al fato il giuramento,
E del dono infernal me fan contento.
Dopo lungo volar sento, che dice
Quella, che l’occhio havea, noi siamo al passo.
S’à te veder la mia sorella lice,
Senza, che t’habbi à trasformare in sasso;
Guarda, che dorme là in quella pendice,
Se tu la vuoi veder, tien l’occhio basso.
Non vi guard’io, resta Medusa à dietro,
Tanto, che ripercote entro al mio vetro.
Come l’ho ne lo scudo, in terra scendo,
E come il granchio verso lei camino.
Riguardo ne lo specchio, e ’l ferro prendo,
Tanto, ch’à lei, che dorme, m’avicino.
Come vi giungo, il braccio in dietro stendo,
E co’l consiglio, e co’l favor divino
Le tiro un gran rovescio sopra il collo,
E ’l tronco, e le fo dar l’ultimo crollo.
Da l’aere ripercosso il vetro fido
Il tronco collo à gli occhi mi riporta,
Et ecco sento un lagrimoso strido,
Che fa in aria colei, che l’occhio porta.
Risuona à pena il mesto, e flebil grido,
Medusa (oime) la mia sorella è morta,
Ch’odo anchor l’altra vecchia, che non vede,
Che seco duolsi, e stride, e l’aria fiede.
A pianti, à gridi lor non pongo mente,
Ma prendo il tronco capo, et ecco intanto,
Euriale con Stenon, che ’l grido sente,
Corrono, e l’una, e l’altra accresce il pianto,
Arrotano il porcino, e crudo dente,
E se non m’ascondea l’infernal manto,
Vidi ciascuna si veloce, e forte,
Che fuggita à gran pena havrei la morte.