Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/155


quarto. 72

Fansi le regie nozze, e sontuose
     Con ogni sorte d’allegrezza, e festa.
     Di seta, e d’oro, e pietre pretiose
     Si vede ogni ornamento, et ogni vesta.
     Traggon le donne fuor le gemme ascose,
     E n’ornano altri il collo, altri la testa.
     Empion voci, e stormenti eletti, e buoni
     L’aria di mille canti, e mille suoni.

Ne la sala real lieta, et immensa
     Si vede il ricco, e nobile apparato,
     Dove à la larga, e sontuosa mensa
     Ogni ordine s’honora, et ogni stato.
     E per tutto egualmente si dispensa
     Ogni cibo più raro, e più pregiato.
     È ver, che Bacco, e ’l suo divin liquore
     Vollero in quel convito il primo honore.

Poi, che ’l divin Lieo tutti i cor lieti
     Fatti ha, come di fuor mostrano i volti,
     E che lasciar veder gli aurei tapeti
     I lini, che lor fur di sopra tolti:
     Vi fur da lor più degni alti Poeti
     Dolci versi cantati, ma non molti.
     Poi cercò intender Perseo, il clima, e ’l sito,
     I costumi, e ’l vestir, le leggi, e ’l rito.

Come hebbe inteso di quel regno in parte
     Del governo, e del clima i proprij doni,
     Disse il più gran Signor, c’havesse parte
     In quelle troppo calde regioni.
     Dimmi ti prego Perseo con qual’arte,
     Con qual valor vincesti le Gorgoni,
     Come acquistasti quella horribil fronte,
     Che fe di quel gran pesce in mare un monte.

Perseo cortese al cavalier si volse,
     Poi fe, che queste note ogn’uno intese.
     Da poi, ch’inanimar quel Re mi volse,
     Che m’ha nutrito à si dubiose imprese;
     A favorirmi mia sorella tolse
     Minerva, e con Mercurio in terra scese;
     E non mi lasciar porre a quel periglio
     Senza l’aiuto loro, e ’l lor consiglio.

Lo scudo al braccio Pallade mi pone,
     Mercurio l’ali à pie, la spada al fianco,
     Poi disse Palla. Il capo di Gorgone
     Havrai senza restare un marmo bianco,
     S’ove il Sol ne l’Hesperia si ripone,
     Tu saprai ritrovar nel lato manco
     Dove assicura due sorelle un muro,
     Che vecchie son, ne giovani mai furo.

D’un figlio di Nettuno Forco detto
     Nacquero, e come uscir del materno alvo
     Cangiaro à un tratto il puerile aspetto
     La canicie del volto, e ’l capo calvo.
     Nacquer de lumi anchor private, eccetto
     Ch’un’occhio sol fra due ne trasser salvo.
     E con uno occhio fuor d’ogni costume
     Anc’hoggi gode hor l’una, hor l’altra il lume.

Permise questo il lor fiero destino
     Per dar castigo al troppo empio peccato
     Di Forco, il qual contra il voler divino
     Fù da si obsceni vitij accompagnato,
     Che si congiunse ad un mostro marino,
     E nacquer de quel coito scelerato
     Queste, à cui mostra un’occhio il giorno, e ’l cielo,
     Che fer cano in un punto il volto, e ’l pelo.

Vizze, canute, curve, e rimbambite
     Si fer con larga bocca, e labra schive,
     Co’l mento in fuor pensose, e sbigottite
     Come fosser cent’anni state vive.
     Come le vide il padre si stordite,
     E d’ogni honor d’ogni fortezza prive,
     Del patrio le scacciò Corsico sito,
     E le fe por sù l’Africano lito.

Ma non potè Pluton lor zio soffrire,
     Che le nepoti in tutto abbandonate,
     Penasser lì senza poter morire,
     Che sapea, ch’immortali erano nate.
     Onde per donar lor forza, et ardire,
     Andò là dove attonite, e insensate
     Sedeano, e le dotò di si gran pregio,
     Che poi mai più non s’hebbero in dispregio.