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quarto. 65

Ben si sà contra ogn’un (s’alcun l’offende)
     Il suo superbo alunno vendicare.
     Et fa, che ’l marinar di Lidia prende
     La forma del Delfino, e solca il mare.
     Contra il proprio figliuol la madre accende,
     E ’l fa parere un porco, e lacerare.
     Le figlie di Mineo fa cieche al lume,
     E che volan di notte senza piume.

Non trovo io, s’un m’offende, altro riparo,
     Che lagrimar l’invendicato oltraggio.
     Deh perche da nemici io non imparo,
     (Che spesso l’inimico fa l’huom saggio)
     S’ei per torle il figliuolo amato, e caro,
     Porco à la madre il fe parer selvaggio,
     Perche non mostra anchor Giuno à costei
     Quel, che far contra l’huom posson gli Dei?

E se la sua sorella oprò la spada
     Contra il figliuol con cor ferino, et empio,
     E li gettò le mani in su la strada,
     E fe de membri un doloroso scempio:
     Perche non fa Giunon, che in furor vada
     Questa Ino anchor per lo cognato essempio.
     Si ch’ella nel dar morte à i proprij figli,
     A la madre di Penteo s’assomigli.

Volta al fiato di Borea è una caverna,
     Che fin’al centro de la terra dura,
     Che mena ogni huom, che passa à l’onda averna
     Per una via precipitosa, e scura.
     Non vi può splender fiaccola, ò lanterna,
     Ch’aria ha si densa, si funesta, e impura.
     E fa intorno un riparo di tal forza,
     Che ’l foco non v’essala, e vi s’ammorza.

Per si caliginosa, e trista fossa
     La sitibonda di vendetta Dea
     Si mette à caminar, da l’odio mossa,
     Ch’à questa gloriosa donna havea.
     Passa per più silentij l’aria grossa,
     Co’l divin, che l’alluma, e che la bea.
     Quindi quei, che di questo hanno il governo,
     Conducon le trist’anime à l’inferno.

Già di lontan conosce Flegetonte,
     Che di cocenti fiamme arde, e risplende,
     Tanto, che in parte il regno d’Acheronte
     D’un tenebroso di visibil rende,
     Fuor de la porta ne la prima fronte,
     (Onde al più basso inferno si discende)
     Stanno i pallidi morbi, e tutti i mali
     Nemici de le vite de’ mortali.

V’è la crudel Vendetta, e ’l mesto Pianto,
     V’è la fredda Vecchiezza, e faticosa.
     La vergognosa Povertà da canto
     Si stà in dispregio, e dimandar non osa.
     V’è la Fatica, che fatica tanto,
     E dopo il faticar si poco posa,
     Ch’al suo volto si vede, che la morte
     La vuol por là da le tartaree porte,

La Navigation soverchio ardita
     Stà co’l Disagio assai presso à la porta,
     Usa una vesta assai corta, e spedita,
     Se non talhor, ch’un manto lungo porta.
     Un palmo non è larga di due dita
     L’asse, ove dorme, aspra, ineguale, e corta.
     La ciban con mangiar spesso interrotto
     Cibi acri, e salsi, e pan più volte cotto.

Con fronte il Timor bassa, e poco lieta
     Si fa d’ogn’un, che v’è timido, donno.
     V’è la pazza Discordia, et inquieta,
     V’è il fratel de la Morte, il pigro Sonno,
     Che con tanto stupore i sensi accheta,
     Che come morti più sentir non ponno.
     La Crapula è con lui, c’hor giace, hor siede,
     E se vegghia, hora il vino, hor l’esca chiede.

I Pensier dolorosi de la mente
     Tengon mesti, e barbati il volto chino.
     Vi stà la Guerra armata, e risplendente
     D’insanguinato acciar forbito, e fino,
     Guarda con occhio altier tutta la gente,
     E gode, ch’ella à l’infernal camino
     Maggior numero d’alme instiga, e preme,
     Che quasi tutti i mali uniti insieme.