Quel miserabil fin s’udi per tutto,
Passando andò in quest’orecchia, e in quella,
Occhio non fu che rimanesse asciutto,
Pianse ogn’un la lor sorte acerba, e fella.
Con lagrime i lor padri, e amaro lutto
Collocaro il garzone, e la donzella
In un comun sepolcro, e i ricchi marmi
Fer d’accordo segnar di questi carmi.
Qui stan Piramo, e Tisbe; amansi, e danno
Ordine d’ire al fonte, ella s’invia.
Viene il leon, fugge ella, e lascia il panno;
L’insanguina il Leon, beve, e va via.
Le vesti uccider poi l’amante fanno,
Ond’ella apre al morir l’istessa via.
E quando l’una, e l’altra alma si svelse,
Tinser del sangue lor le bianche gelse.
Così contava Alcitoe, e in tal maniera
L’amor dipinse, e le bellezze conte,
Et ogni lor miseria così intera,
E con parole sì veraci, e pronte,
Ch’ogni donna sforzò, ch’ad udir era,
A far de gli occhi lagrimosa fonte,
E tutto fe con sì pietoso affetto,
Che nel lor lagrimar trovar diletto.
Conchiusa c’hebbe Alcitoe la novella,
Dovea parlar Leucotoe, che cuciva,
E de la terza era maggior sorella,
E non men de la prima accorta, e viva,
E lavorava una camicia bella,
E nel collar, ch’allhor di seta ordiva,
Pingea di color verdi, bianchi, e ranci,
Di cedri un vago fregio, e melaranci.
Con più d’un spillo in bassa sede assisa
Sopra un picciol guancial, c’ha in sen, conficca
Un capo del collar, ch’ella divisa,
Poi la sinistra à l’altro capo appicca,
Secondo l’occhio poi la destra avisa,
L’ago con diligentia appunta, e ficca,
Lo spinge poi che l’ha giusto appuntato
Co’l dito lungo di metallo armato.
Quanto puote l’anello innanzi il caccia,
I primi diti poi presa la punta
Lo scostan dal collar tanto, che l’accia
In quel bel fregio ad haver parte è giunta.
Tien sempre in quel lavor ferma la faccia,
E gli occhi anchor mentre che l’ago appunta,
Ma nel tirar del fil talvolta mira,
E senza il viso alzar le luci gira.
Quando l’ago la punta ove desia
Più por non può, che l’accia è troppo corta,
Con le forbici taglia, e getta via
La parte, che riman, la mano accorta.
Allhor dal fregio il volto alza, e disvia,
E l’occupata vista si conforta,
Prende il collo vigor, vigore il viso,
Che non stà come pria chinato, e fiso.
Al gomitolo poi la seta tolle,
E l’aguzza co i denti, e con le dita,
E via le tronca il pel debile, e molle,
E poi che l’ha ben torta, e bene unita,
La cruna à l’occhio l’una mano estolle,
Et ella l’altra à porvi il filo invita,
S’affisa l’occhio, e v’ha la man si pronta,
Che ne l’angusta cruna al primo affronta.
Co primi diti poi la punta prende
De l’accia, che già domina la cruna,
Tira il fil dentro alquanto, e l’occhio intende,
E con proportione insieme aduna
Fior, fronde, e frutti; e così ben gli stende,
Che non manca il disegno in parte alcuna,
Ne stà di variar l’accie, e colori,
Secondo son le foglie, i frutti, e i fiori.
Se ben con tanto studio, e con tant’arte
Ha nel cucir la mente, e gli occhi intenti,
Non vuol punto mancar de la sua parte
Di far gli orecchi altrui di lei contenti,
E con tal senno il suo tempo comparte,
Che fa sentir questi soavi accenti,
Con l’ornamento, ch’appartiensi à loro
Senza che toglia à l’ago il suo lavoro.