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Ma farollo ben’ io confessar presto
     Chi sia il suo vero padre, e quel ch’ importa
     Questa sua cerimonia, col contesto
     Di quel ridicolo habito, che porta.
     Dunque à un fanciullo infame, e dishonesto
     Solo Acrisio saprà chiuder la porta?
     Dunque un stranier, seguito da la plebe
     Farà Penteo tremar con tutta Thebe?

Et à i suoi servi con furor rivolto
     Disse, fate, ch’ io l’habbia hor’ hora in mano.
     Ch’io vo far noto al mondo, quanto è stolto
     Ogn’un, che crede al suo costume insano.
     Il popol, ch’era intorno à lui raccolto,
     S’alterò di quel dire empio, e profano,
     Perche Tiresia, à cui ciascun credea,
     Quei sacri giochi comandati havea.

Vuole Atamante, vuol l’avo prudente
     Raffrenar quello orgoglio al suo nipote,
     E quel furore, e quella rabbia ardente,
     Ne ritenere ò quegli, ò questi il puote.
     Ma tanto più s’accende ne la mente,
     Quanto più il suo parlar si ripercote.
     E più che si contrasta al suo volere,
     Più cresce à l’ira sua forza, e potere.

Tal s’uno agricoltor s’oppone, e vieta,
     Ch’un torrente nel suo non entri, e vada,
     Perche con l’onda sua, poco discreta
     Non toglia à lui la seminata biada.
     Dove l’onda era pria meno inquieta
     S’ ingorga, e per uscir tenta ogni strada,
     Porta al fin via la terra, il legno, e ’l sasso,
     E tutto quel, che gl’ impedisce il passo.

Tolsersi i servi via da quel furore,
     Anchor, che l’obedir mal volontieri,
     Però, ch’à tutti havean toccato il core
     Quei giochi, che tenean divini, e veri,
     Ne conosceano in lor tanto valore,
     Ch’ à molti forti, e degni cavalieri,
     Potesser contrastar, ch’ogn’un sapea,
     Del gran poter, che Bacco intorno havea.

Dapoi, che s’avviar timidi, e lenti,
     E che l’un l’altro si guardar nel volto,
     E si conobber tutti mal contenti
     D’obedir quel signor crudele, e stolto,
     Discosto forse un miglio da le genti
     Di Thebe ritrovar, che s’era tolto
     Da gli altri un, che lo Dio Theban seguia,
     Et havea seco quattro in compagnia.

S’accordar tosto, e fu da lor pensato
     Prender di questi quel, che par più degno,
     E dir come non hanno altro trovato,
     E condurlo al Tiranno del lor regno,
     Che forse in tanto si sarà placato,
     E se pur serva anchor l’ ira, e lo sdegno,
     Disfogare il potrà contra costui,
     E tutto quel, che vuol saper da lui.

Subito à tal pensier si diede effetto
     Ma non senza grandissima contesa,
     Che quei vedendo questi ne l’aspetto,
     Che mostran di voler far lor offesa;
     Tosto deliberar per buon rispetto
     Di star arditamente à la difesa,
     E si fermaro in atto in su l’aviso,
     Che segno fean, c’havrian mostrato il viso.

E ben mostrarlo, e ben con lor pugnaro,
     Feriro, fur feriti, e finalmente
     A forza il capo lor prender lasciaro
     Resister non potendo à tanta gente.
     Con quel prigione al lor Signor tornaro,
     Ch’à quei lordi di sangue pose mente,
     E saper volle con chi havean conteso,
     E perche il falso Dio non havean preso.

Trovar mai non l’habbiam potuto nui,
(Disser) ma ben di quei, che tuttavia
     Lui seguon, con fatica habbiam costui
     Preso, e fe fronte egli, e la compagnia.
     Preso l’havrete voi non ben per lui
(Disse ei) s’egli di quei di Bacco fia.
     Da che il conobbi (rispose egli allhora)
     Esser suo volli, e voglio essere anchora.