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da corrientes alla frontiera 117

mancanza di riguardi, impossibili con le loro case e le loro vesti, che alla mancanza di pulizia domestica e corporale, che mi è parsa abbastanza curata. I casi son quasi tutti mortali e perciò pochissimi sono gli Indiani che appariscano tarmati.

Ogni uomo ha uno spirito, che dopo morto va sotterra a unirsi ai suoi compagni, tra i quali gode di una considerazione proporzionata a quella goduta in terra tra gli abitanti della medesima tolderia. Questa credenza fa che tengano una speciale religione pei loro morti.

Benchè gli ahót sieno amanti di andare a zonzo, nondimeno dimorano nei pressi dove morirono i corpi che li contenevano.

Lo spirito della persona che muore fuori via a cui non sia data sepoltura nella propria terra, vaga solitario, sconsiderato e triste tra mezzo degli spiriti stranieri.

Io domandavo al mio Cicerone perchè fosse tanto crudele il fato per cotesti infelici, che senza loro colpa morivano ed avevano il corpo fuori della lor nazione. Ed egli a me: «L’essere i corpi lasciati fuori via abbandonati dai loro congiunti in vita e dai figli della stessa tribù, era segno che non avevano goduto amore e stima in vita, sicchè gli ahót stranieri al vedersi comparire tra loro uno straniero ragionavano così: questi qui, che, nè i congiunti in vita, nè i figli della stessa tribù in terra non onorano di sepoltura fraterna, è segno che non riscuotevano nè amore, nè stima, dunque non meritano niente» e lo lasciano solo. Ripeto il girigogolo del ladino.

Mi venne a mente la tradizione latina riportata in aurei versi nella Eneide, quando Enea disceso agli Elisi trovò l’ombre degli insepolti che errano intorno alla Palude Stigia senza poterla traghettare:

Quella turba che passa, è dei sepolti;
     Questa che torna, è dei meschini estinti
     Che ne tomba, nè lagrime, nè polve
     Ebber morendo. A lor non è concesso
     Traiettar queste ripe e questo fiume,