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atto quarto. - sc.i. 343

Nel quale io temerò che pigri il Sole
Abbia i destrieri, e sia la notte avvinta
Nel mondo inferïor.

                       prospero.
                               Sensati, o figlio,
Sono i tuoi detti. ― Or siedi, e ti ristringi
Con lei. Tua cosa ell'è. ― Dove t’ascondi
Mio sagace Arïel?

                        ariele.
                             Son qui! che brami,
Venerato Signor?

                       prospero.
                           Tu degnamente
Coi minori compagni il mio supremo
Voler compiesti, ed or per altra impresa
Giovarmene io disegno. Il folto stuolo
Di quegli Spirti, che suggetti io feci
Al cenno tuo, raccoglimi all’istante.
Vanne, e spira in coloro anima e zelo
A dar prova di sè. Dell’arte mia
Voglio dar qualche saggio a questi amanti,
Tal che la vista ne ricrei. Promessa
Ne feci, e ch’io v’adempia impazïenti
Son essi.

                        ariele.
                  E quando?

                       prospero.
                              In un girar di ciglio.

                        ariele.
«Pria che tu dica: ― Va tosto e riedi ―