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atto secondo. - sc.ii. 313

Dove cresce il selvatico pometo,
Scavar colle mie lunghe ugne i tartufi,
Mostrarti il nido della gazza, e l’arte
Che la scimia scaltrita al laccio attrappa.
Meco ai boschi verrai delle pendenti,
Dolci avellane, e i crocali novelli
Ti piglierò sui gioghi erti del monte.
Ti accompagni con me?

                       stefano.
                                     La via ne addita,
E lascia il cinguettio. Trinculo, ascolta!
Ora che il nostro re con tutti i suoi
Näufragàr, dell’isola il possesso
Prendiam noi quali eredi.
                      (A Calibano.)
                                     Il fiasco mio
Portalo tu. ― Di nuovo empirgli il ventre,
Fratel Trinculo, vogliam noi.

                       calibano.
                                           Maestro!
Schiavo tuo più non son, Maestro, addio!

                       stefano.
Vocia il mostro briaco a squarcia gola.

                       calibano.
«Pesci al vivajo più non darò;
    Più legna al foco non porterò,
    Nè più la mensa sparecchierò,
    Nè piatti e vasi più laverò.»
    Can‐Can‐Can Ca liban mutò padrone.