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atto secondo. - sc.ii. 307

                       stefano.
                           Un mostro a quattro zampe
Dell’isola è costui che dalla febbre
Fu preso. Ma chi mai la lingua nostra
Gl’insegnò? Vo’ soccorrerlo, non fosse
Che per questa cagion; se poi riesco
A guarirlo, ammansarlo e trarlo meco
Fino a Napoli, un don miracoloso
Sarà per ogni re che di bovina
Pelle si calzi.

                       calibano.
                      Non mi dar tormento,
Ti prego, e più sollecito la legna
Porterò.

                       stefano.
               Già sfarfalla in un accesso
Febbril. Vo’ ch’egli gusti un centellino
Di questo fiasco. Se col vin sin ora
Fratellanza non fece, il male, io spero,
Gli caccerà. Ch’io possa in piè rizzarlo,
Farmelo mansueto e, viva il Cielo!
Per uno straccio nol darò. Chi n’abbia
Vaghezza il paghi e paghi assai.

                       calibano.
                                             Fin ora
Gran dolor non mi dài, ma certo in breve
Me lo darai. Dal tuo tremar m’avveggo
Che Prospero t’invade.

                       stefano.
                                   A me ti volta,