Pagina:Otello - La tempesta - Arminio e Dorotea, Maffei, 1869.djvu/320

306 la tempesta.

Ma la Ghita (si goda col diavolo
   L’amor suo, quella trista linguaccia!)
   ― Va t’impicca! ― borbotta la vipera,
   Se qualcun della ciurma l’abbraccia.
Ve’ che sciocca! L’odor della pegola
   Le dà noja, il catrame la imbratta;
   Pur m’è noto che dove le pizzica
   Un sartor dolcemente la gratta.
               Noi, figli, al mare!
                  E quella gioia
                  Vadasi a fare
                 Strozzar dal boja.»
Una magra canzon come la prima,
Ma questo è il mio conforto.
                         (Beve.)
                       calibano.
                                           Ah! non volermi
No, tormentar!

                       stefano.
                           Che v’è?... v’han qui demòni?
In forma d’indïani o di selvaggi
Ne vonno abbindolar? Non son campato
Dal mar perchè mi lasci ai vostri quattro
Piedi atterrir. «Nessun (così fu detto)
Batter debbe il calcagno avanti un uomo
Che va con quattro gambe; e questo pure
Di Stefano diran fin che respiro
M’entri per le narici.

                       calibano.
                                   Oimè! lo spirto
Già mi tortura!