Veniagli alimentando. Inganno enorme
Quanto la sicurtà che in lui riposi!
Poi che del mio poter, de’ miei dominj,
De’ miei tributi mi spogliò, si rese
Simile all’uom che, detta e poi ridetta
La menzogna medesma, alfin trasforma
In peccatrice la memoria, e vera
Crede la propria favola egli stesso.
Lungamente così nel mio ducale
Scanno seggendo, si credette alfine
Non già l’usurpator, ma il vero duca.
Questo esercizio del poter sovrano
E de’ miei privilegi assai n’accrebbe
L’albagia. ― M’odi, o figlia?
miranda.
A sordi orecchi
Dar potresti l’udito
prospero.
A tor di mezzo
Gl’inciampi che temea dall’uomo istesso,
Di cui perfidamente esercitava
La mal fidata autorità, propose
Farsi pieno signor del mio ducato;
E dovean quattro mura, ove sepolti
Stavano i miei volumi, essermi un regno
Vasto a bastanza, com’io più non fossi
Del reggimento temporal capace.
Patti col re di Napoli egli strinse
Per febbre ardente di poter; prestargli
E tributi ed omaggi a lui promise,