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L’Italia non ha vissuto sin qui di sua vita propria, nè conformemente ai propri bisogni, ai propri interessi; ma fu diretta da’ suoi padroni, secondo ad essi conveniva, e secondo risultava più confacente all’insieme di quei corpi politici mostruosi e diformi, di cui le provincie italiane erano parte. La frazione d’Italia che dipendeva direttamente dall’Austria (e l’Italia presso che tutta ne dipendeva indirettamente) fu detta paese agricolo, e tale è difatto; ma i tempi in cui la ricchezza pubblica delle nazioni si misurava dalla fecondità del terreno, e dalla salubrità del clima, sono lungi da noi. La ricchezza degli Stati è oramai la conseguenza dello sviluppo dell’umana operosità nell’industria e nel commercio, non meno che dello sviluppo dell’agricoltura.

L’impero austriaco, che si componeva di tante provincie e di popolazioni fra loro eterogenee ed avverse, considerava le sue provincie italiane come il suo giardino e il suo granaio. E di fatti nè la Boemia, nè l’Ungheria, nè la Gallizia, nè la Stiria, nè alcuna di quelle nordiche contrade possono competere coll’Italia per la feracità del suolo e per la mitezza del clima. L’Italia fu dunque dall’Austria destinata, o per dir meglio condannata a fornire all’impero i prodotti agricoli, e a consumare i prodotti dell’industria delle altre provincie. L’industria fu interdetta all’Italia, perchè all’impero conveniva di averla inoperosa ed incapace di sovvenire ai propri bisogni. Nel lungo corso del dominio austriaco in Italia, più d’una prova fu tentata da capitalisti italiani, per introdurre nel paese qualche industria che valesse ad arrestarne il rapido impoverimento. — Il governo austriaco conosceva la iniquità del suo procedere, e sentiva la necessità di mascherarlo. Per ciò non si opponeva apertamente a tali esperimenti; ma ben sapeva renderli vani, ed ottenerne l’abbandono. I capitalisti autori di quelle prove si vedevano subitamente decaduti dal favore del governo; incontravano non preveduti ostacoli ad ogni loro mossa; il prezzo degli oggetti necessari al progredire della industria loro cresceva ad un tratto smisuratamente. Se ad essi occorrevano macchine che non si potessero avere che dall’Inghilterra o dalla Francia, l’importazione di tali macchine era sottoposta a tasse e a difficoltà siffatte, che la nascente industria non poteva sostenerle, e il tentativo andava fallito. Certo che un simile procedere non avrebbe ottenuto in Inghilterra il successo che ottenne in Italia; ma gli ita-