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peva che la ignoranza di codesti fatti era stata imposta e rigorosamente mantenuta dallo straniero, onde impedire all’Italia di vivere la vita delle nazioni indipendenti, e frazionarla in diverse greggie di schiavi.— Si sapeva che a cangiare simile stato di cose erano mestieri sagrifizi numerossissimi di ogni genere, e si sapeva che il rimanere nella condizione presente, piuttosto che esporsi a maggiori sventure o sottoporsi a costosi sagrifizi era vergogna e disonore. — Si sapeva che il maggior bene a cui debba aspirare un popolo è l’onore; la maggiore sciagura che a lui sovrasta, la perdita di quello. — Tutto ciò si sapeva e si teneva religiosamente per vero; e tali nozioni avevano siffattamente accese le passioni popolari, che ogni altro eccitamento era diventato inefficace e vano. Il pensiero del poco conto in cui il carattere degli Italiani era tenuto all’estero, era come una sferza che lacerava costantemente i nostri cuori, e il bisogno di riscattare il nostro buon nome riscattando la nostra libertà, diveniva di giorno in giorno più imperioso, e non ne lasciava più posa.
Tutto ciò era stato operato da alcune parole di Giuseppe Mazzini; e quando l’Italia avrà veramente riconquistato il seggio cui ha diritto fra le grandi nazioni europee, i nostri posteri dovranno scrivere quel nome sopra tavole di marmo, e ricordarsi sempre di quanto a lui si deve.
Quelle nozioni erano accompagnate, come già dissi, da non poche idee esagerate o radicalmente false. — L’odio o il disprezzo per tutto ciò che altre volte era tenuto in grande onore, siccome la nobiltà, la religione, e la monarchia. — Nessun governo tranne il repubblicano poteva rispettare la libertà dei popoli, ed ogni re era naturalmente e necessariamente un tiranno. — A chi si provava di richiamare al vero questi fervorosi ed inesorabili repubblicani, si rispondeva con degli squarci di Alfieri o delle strofe di Berchet. — L’idea dominante sopra tutte le altre in quell’epoca era la necessità della espiazione ed il valore del sacrifizio, sicchè se uno spirito benefico fosse venuto ad offrirci in grazioso dono la libertà e la indipendenza, senza chiedere da noi altro concorso che la nostra accettazione, credo che avremmo respinto il dono, e certamente avremmo sentito rancore verso il donatore. — Volevamo la indipendenza e la libertà, ma volevamo più ancora mostrarcene degni.
Un’altra scuola di liberalismo italiano era sorta contemporanea-