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singolare sulle giovanili imaginazioni, fidando sul fatto che la Presidenza del Consiglio dei Ministri era caduta nelle mani di chi sa persuadere a tutti i partiti di essere cosa loro, e la cui presenza al Ministero fu sempre seguita da una sciagura nazionale, levavano lo stendardo della ribellione, ed irrompevano sul territorio pontificio. — Confesso che i partigiani del generale Garibaldi formano una fazione politica, che si appoggia, non già ad un corpo di dottrine politiche, ma ad un uomo di cui si sono fatti un idolo, quantunque lo riconoscano scevro di criterio politico, di prudenza, di sagacità, di tutte le doti infine che costituiscono l’uomo di stato, e ne lodano soltanto il coraggio, la lealtà ed il patriottismo: virtù che bastano a meritargli la erezione di una statua sulla pubblica piazza, ma non ad ottenergli il titolo ed i diritti di un dittatore. — Il generale Garibaldi ed i suoi partigiani pretendevano impadronirsi di Roma, cacciarne il Pontefice, stabilirvi verosimilmente la dittatura repubblicana, e sostenere quindi la guerra contro la Francia. — L’impresa era così disperata, così rovinosa, che i romani stessi lo conobbero, e si astennero dal parteciparvi. — Il successo non era dubbio; ma i pericoli che tanta caparbietà minacciava alla patria erano grandi e numerosi. — Il governo nostro trovavasi nella più critica situazione. — Legato dai trattati, e costretto dalla più volgare prudenza a non partecipare a tentativi violenti contro il governo pontificio, esso non poteva nè attaccarlo nè difenderlo, e perchè la pubblica opinione si sarebbe opposta così all’uno come all’altro partito, e perchè i trattati non lo autorizzavano ad intervenire negli stati romani, nè in favore del Pontefice nè in favore dei suoi avversarii. — D’altra parte, se le nostre truppe avessero occupato il territorio pontificio, e più ancora se si fossero portate dentro le mura di Roma, un tal passo ci avrebbe condotto alla guerra civile, ed alla guerra contro la Francia, che avrebbe considerato la nostra occupazione a mano armata di Roma come una sfacciata infrazione ai trattati testè conclusi, e come un atto di violenza contro il Papa, in una parola come una conquista; mentre dall’altro lato il nostro governo non poteva accettare e sanzionare la dittatura del generale Garibaldi, nè tutti gli atti e le illegalità che da tale dittatura sarebbero derivati. Le due armate trovandosi a fronte l’una dell’altra, e le volontà, dei rispettivi capi essendo fra loro discordi, non vedo come si sarebbe evitata la guerra civile, o forse anche lo smembramento d’Italia.

A tali estremi pericoli ne esponeva la ostinazione e la singolare imprudenza del generale Garibaldi; e la sagacità che giunse ad allontanarli non fu per certo volgare prudenza. Anche questa volta però il grandissimo numero degli italiani, ed i romani pressochè tutti, diedero nuova testimonianza del buon senso che predomina nelle nostre popolazioni; poichè nessuno, tranne