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DI FRANCESCO REDI. | 89 |
Η᾽ν` δ᾽ἄρα μή τι κίχη κεῖνον χόλον ὅνπερ ὁδίτης
Ατρεκέως ἐσιδὼν μιν, ἀπέκλυσεν ὔδατι λάβρω.
Αὐταρ` ὅγ᾽ἀσχαλόων ῤίπτει δέμας, εἰσόκε μοῖραν
Λευγαλέοιο λάβησιν ἀνώιστου θανάτοιο,
Αιδόμενος ὅτ᾽ἄναλκις ὄπλων γένεθ᾽, οἷς ἐπεπόιθει
Ε῎μμεν᾽ὄφις. πέτρη δὲ συνώλεσε καὶ δέμας ἰῶ.
Passo a bello studio sotto silenzio l’altre favole intorno al Coito, ed al Parto delle Vipere, come quelle che dottamente son già state confutate da molti Autori, ed in particolare da Marc’Aurelio Severino, e prima di lui da Francesco Fernandez di Cordova nel capitolo duodecimo della sua Didascalia: Ma non voglio tacervi quella contata dal Porta, che il suono delle corde, fatte di budella di queste bestiuole, sia cagione, che le donne gravide si sconcino, e la Creatura disperdano; e quest’altra narrata da Aristotile, che alle Bisce se sia troncata la coda, rigermoglia di nuovo, e rinasce, e che ripullulano ancora gli occhi, se sieno a loro cavati; e Rasis, che