riscono alcuni Storici, ma ben si, che ella con maniera più speditiva, più sicura, e più segreta, dopo essersi da se medesima ferito, o morsicato un braccio, stillasse su la ferita, come racconta l’Autore del libro della Triaca a Pisone, un veleno, che spremuto dall’Aspido in un bossoletto conservava a tal fine preparato; overo, secondo che riferisce Dione, che ella si ferisse il braccio con un’ago infetto di veleno, che portar soleva per ornamento del crine, ed era quel veleno di si fatta natura, che non faceva nocumento alcuno, se non quando pungendo toccava il sangue. E mi confermo in questo parere, perchè se bene dicono, l’aspido esser molto più velenoso della Vipera, il che per ora voglio concedere, nulla dimeno egli è di questa razza di serpi, che secondo la sentenza di Nicandro, d’Eliano, e di altri, anno i denti canini coperti dalle guaine, nelle quali conservano il veleno, e quel veleno schizza tutto fuora, se non al primo, almeno al secondo morso, si che il terzo (e più volte l’ho sperimentato) non è velenoso, e per questa cagione i Cerretani,