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deggiono renderla distinta sopra tutte le altre. In essa si scorge inoltre la naturalezza delle lingue antiche. Quando si parla con una Persona, non si adopera giammai il voi, ne l’ella, ma solamente il tu, maniera di parlare degli antichi Romani, ch’è la più forte, e la più nobile. Il Signore, e l’Illustrissimo, sono titoli ignoti alla incorrotta lingua Slava, come lo errano alla Romana, ne si diceva Signor Cesare, Signor Cicerone, Signor Pompeo, bensì Cesare, Cicerone, e Pompeo. Si sa, che Tiberio tanto ambizioso, ch’egli era, non soffrì mai di esser chiamato Domine Signore. Io non mi fermo a parlar della sua antichità. Le mozioni di essa sono di già spacciate in moltisimi Autori, tra’ quali non si lascia di citare, il P. Dolci da Ragusi, che ne parlò più diffusamente degli altri. Esso la fa derivare dai figli di Jafet, da quali fa discendere anche la nostra Nazione. Confesso il vero, io temerei di confondermi, a parlar di cose, tanto lontane. Io solamente osserverò, che fra tante Nazioni, che parlano la lingua nostra, eccettuati i Moscoviti, mi è sembrato, che i Morlacchi conservino di antica purità più di tutte le altre. Quindi è, che in Dalmazia convien ricorrere ad essi per la vera pronuncia Illirica; nè si abbian a male per questo i Cittadini di Ragusi, che soli di que’, che possiedono lingue forestiere fra noi, si vergognano di parlar comunemente, e con molta eleganza anche la propria; la pronuncia per altro sempre conserva meglio, chi non possiede altre lingue, che la nativa, come i nostri Morlacchi. Non è già per questo, ch’essi non abbiano anche di voci, e frasi straniere. Ma qual è quella lingua, che non sia soggetta a questa fatalità? Il commercio delle nazioni deve portar necessariamente questa conseguenza. Questo è,