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facevano sforzi possibili per aver Soçivizca nelle mani, e levar il motivo di lamentarsi a’ Turchi. Torno a dire, per estirpare gli Aiduzci, od almeno per diminuire il loro numero, bisogna riandare alle sorgenti, vale a dire, a quelli, che li costringono di mettersi a questa vita. A capite bona valetudo dice benissimo il saggio Seneca. E per tornare a Socivizca, esso si attrova presentemente provveduto di sufficienti beni, poichè la Clemenza del Sovrano, sotto cui vive gli assegnò uno stipendio di venti otto Zecchini all’anno, ed alquanti campi di terreno da coltivare, avendolo anche decorato del posto di Arambassà de’ Panduri, ed è molto amato da’ suoi Capi. Così quello, che visse trenta anni incirca suddito Ottomano, e che per venti sette all’intorno fu Arambassà degli Aiduzci nello stato Veneto, già tre anni incirca fu fatto Arambassà de’ Panduri nell’Austriaco. Lo scorso Maggio, che S.A.R. Giuseppe II. vivente Imperatore è stato al triplice confine, e che passò per Grazatc, ove dimora Socivizca dopo aversi fatta raccontar la sua vita, gli donò qualche Zecchino. Ma Socivizca è stato sempre mai poco amante del soldo. Era in tempo di notte una volta esso co’ venticinque compagni internato ne’ monti, ove si era rifugiato per mangiare, quando traviati dalla vera strada due Morlacchi s’incontrarono con lui casualmente, portando seco una grossa summa di denaro di un Mercante. Socivizca cominciò a sospettare, che questi fossero due spie ed interrogatili, perchè erano colà venuti? Restarono attoniti, senza sapersi che dire. Esaminò Socivizca cosa aveano indosso, e trovò de’ soldi, quali avendo conosciuto essere di uno, che gli avea fatto, qualche picciolo bene, lasciò andar i Morlacchi, dopo aver anche dato loro da mangiare, e li fece scortare da’ due de’ suoi com-