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contro i Montenegrini. Socivizca per la vita alpestre, cui menava, ridottolo alla stato di cominciata vecchiezza, tornò a ritirarsi nel luogo solito delle Tenute Austriache. Cominciò a pensar di procurasi colà qualche sorte d’impiego per poter vivere, e per lo denaro, che possiedeva, fu lusingato di ottennerlo. Ei vedeva passar mesi, ed anni, senza poter giugnere al bramato fine. Scappava di quando in quando a far delle sue solite bravure contro i Turchi in compagnia degli Aiduzci, che si aveano scielto per capo un certo Filippo Peovich, già pochi anni appiccato a Zara per i suoi latrocinj. Soçivizca aveva depositato in mano di un Calogero suo Confessore Zecchini cinquecento con altre bagattelle da tenersi in sicuro, frutto delle ladre sue fatiche. Il buon Calogero accortosi, che fra poco tempo Socivizca dovea sortire una carica, se ne fuggì, quattro anni sono, in parti rimotissime. Socivizca lo inseguì fino al Danubio, e non trovandolo, se ne tornò addietro. Un suo cugino da Imoschi lo andò a trovare la State passata, ed essendosi Soçivizca scostato da casa, gli rubò tutti i suoi vestiti, e la famosa Marama, che gli avea donata la sua Posestrima Turca con alquanti soldi, che componevano unitamente a tutto il furto la summa di ottanta Zecchini. Ebbe a lagnarsi meco Socivizca, allorchè lo scorso Luglio seco lui parlai, di questi due latrocinj, così crudeli, dicendo „ciò che io acquistai con violenza, esponendo la vita ad un continuo rischio, due ladri a buona fede, e senz’alcun pericolo è dunque giusto, che mi portin via? Se mi avessero assalito in strada, non mi spiacerebbe. Così mi avrebbero resa la resa la pariglia. Ma questo rubare a buona fede, e senza rischio è il più iniquo rubare del Mon-