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garante della loro poltroneria. Allora gli Ambasciatori Turchi cominciarono a sfogarsi contro i nostri poveri Panduri, facendoli comparire presso l’Eccelentissimo Generale, come complici dello scampo di Socivizca. Per contentar in parte la calunnia degli ostinati Ottomani, si diede qualche legero castigo a questa gente, che poi si scoprì non aver colpa veruna. Ma Socivizca non abbastanza pago di essersi liberato egli solo dalle mani de’ Turchi di continuo pensava alla liberazione della moglie, e de’ poveri figli. Questa era l’unica sua cura, per mettersi poi a vivere in istato tranquillo. Fece più volte intendere al Passà di Travnik, ch’esso era risoluto di non dar ulterior impaccio a’ Turchi, purchè gli si lasciasse la moglie, ed i figli; ma il Passà se ne rideva delle sue proposte, e s’inferociva di più, anzichè divenir mite. Socivizca volle provar di persuaderlo con lettere, e tra le altre, gli fece scrivere una a un di presso del seguente tenore. „ Ò udito dire, o Passà della Bosnia, che ti lamenti della mia fuga. Io ti dimando, nel caso mio, che avresti fatto tu? Ti lascieresti legare a guisa delle bestie vili, e condurre volontariamente da Persone, che arrivate a un certo termine, secondo ogni probabilità, ti dovessero dar la morte? La Natura insegna a tutti di sfuggirla. Io che ò fatto di più, che secondar le sue leggi? Ma qual delitto ànno commesso, o Passà, mia moglie, ed i miei figli, che contr’ogni giustizia, e ragione li trattieni schiavi presso te? Credi forse di rendermi più docile con ciò? T’inganni. Mi rendi più fiero. Ma senti: tu potrai sfogar la rabbia sopra di loro, e non saratti di veruna utilità; io sfogherò l’odio contro i Turchi sudditi tuoi, e ti servirà di sommo pregiudizio. Deh! rendimi,