Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
sero fermarsi, o proseguire il viaggio; ma alla fine si appigliarono a questo ultimo partito. Non furono ancora lontani per due tiri di moschetto dalla Torre di Prologh, che Socivizca precipitando per così dire da cavallo, diè la catena sul capo alla Guardia più vicina, e lasciandosi in ballia delle strade lastricate di diaccio, si profondò in un batter di ciglio in un Vallone, e ’l primo albero, che trovò, sotto lui si ascose. I Turchi, che gli diero la caccia, stimavano, ch’esso seguitasse a fuggire, e si erano inoltrati molto innanzi, sperando pur di sentir lo strepito delle catene. Intanto la notte si annerì di più, e quando parve a Socivizca tornò a ripassare con tutta la quiete avanti la Torre di Prologh, e per istrade inusitate poscia s’incamminò verso i Veneti confini. Viaggiando pell’interno delle Montagne tutta quella rigidissima notte, che fioccava la neve da una parte, fischiava il furioso Borea dall’altra, s’incontrò in una truppa di Lupi, che urlavano orrendamente pel freddo anch’essi, e fuggito un pericolo cadde in un peggiore. Si accostò al primo albero per arrampicarvisi sopra, ma il peso delle catene lo strascinava all’ingiù. Quest’erano le sole sue armi, e con queste già si apparecchiava alla pugna, e alla difesa, come gli antichi Eroi, che combattevano co’ rami, e tronchi d’alberi. Ma che? I Lupi gli passarono poco da lungi, senza fargli alcun male. Ecco come si verifica quel proverbio, che un lupo non mangia mai dell’altro. I Turchi pieni di rammarico, e di vergogna, per aversi lasciato scappare dalle mani Socivizca, al novo Sole lo rintracciarono per tutte le parti più secrete del bosco, ove ragionevolmente li poteva credere, ch’egli fosse celato, ma disperato vedendo il caso di trovarlo, condussero con essi loro sua moglie,