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quando sentì tutto in una volta il calpestio de’ cavalli, su cui v’erano i Turchi, che venivano a prenderlo. Tornarono indietro però con sommo dolore di non averlo trovato. Socivizca tornò ad Imoschi. Si ricordava il doppio tradimento del Pobratime, e non pensava ad altro, che alla vendetta. Dopo parecchi giorni unì sette compagni, con cui se ne andò in tempo di notte ad abbrucciargli la casa ch’era di paglia, ove si abbrucciarono diecisette persone di quella famiglia, rifugiatesi in quella sera per somma loro disgrazia a dormir tutte in casa. Una povera Donna con un pargoletto in braccio era arrivata fino alla soglia della porta, per evitar l’incendio, ma fu nel tempo stesso da varie archibugiate insieme col pargoletto ferita, e uccisa. Turchi non erano certi chi fosse l’autore di questo incendio, ma il sospetto non potea cader, che sopra Socivizca. Irritati dunque da una vendetta così atroce, fecero contro di esso amarissime doglianze all’Eccellentissimo General della Dalmazia, e fu sapientissimamente ordinato, che gli si dovesse spianar la casa, punir i suoi complici, ed una taglia di venti Zecchini a chi lo ammazzasse, e quaranta a chi lo prendesse vivo. Cessata in Socivizca la fiducia di poter più vivere con la solita libertà a Imoschi, pensò di disseccar tutti i capitali del suo negozio, prima ancora di sapere il decreto contro lui emanato. Era in continua agitazione per non poter essere certo del suo destino, ed usava tutte le precauzioni possibili per non lasciarsi cogliere all’improvviso. Ai quindici di Agosto l’anno MDCCLIV, in cui fece il suddetto misfatto, si attrovava esso alla Fiera di Sign, da dove vedendo partir una compagnia de’ Crovati a cavallo, s’immaginò, ch’ella potesse andar di lui in traccia,