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lunga pezza. Volle il caso, che i mentovati Padroni, ch’erano i tre fratelli, dopo aver scosso l’Araç, o sia contribuzione dai sudditi de’ varj Villaggi loro, aveano cumulata la summa di dieciotto mila Zecchini, ed andorno ad alloggiare in casa del Socivizca. Esso allora disse a suoi fratelli, che che il Padre loro non ne fosse persuaso, „ ora è tempo di vendicarsi. “ La necessità, in cui si attrovavano, la certezza del bottino, la Tirrannia de’ Padroni, il ricordo delle passate ingiurie erano tutte cause, che persuasero i fratelli a concorrere nella opinione di Socivizca, e massacrarono i loro Padroni, ed Ospiti, facendo loro servir di sepoltura una profondissima fossa scavata vicino alla casa. Era in quel tempo Passà di Trebigne un Turco, detto Suleiman, e Firdus, o Capitanio uno, nomato Passich. Furono per ordine di questi trucidati, e fatti schiavi cinquanta Cristiani all’incirca, perchè non voleano confessar di essere rei, quando non lo erano. Sulla famiglia di Socivizca non era mai caduto il sospetto, ch’ella potesse essere delinquente. È legge fra’ Turchi, che di quel Villaggio, in cui manca qualunque summa di denaro, debbano tassarsi i Villici, e pagarla, se non la si trova. Così fu fatto in questo incontro. Ma il lussurioso vestito, l’orgoglio insolito, la temerità, e l’audacia, che s’impossessarono dell’animo di Socivizca, non seppero farli mascherar l’assassinio più di un anno. Appena però, che cominciossi mormorare un pocolino, Socivizca più che di fretta consigliò i fratelli di mettersi in fuga con tutto il soldo, che possiedevano. Da di là partiti col vecchio Padre, che morì per istrada, arrivarono a Imoschi. Correva allora l’anno MDCCXLV. Ivi comprarono possessioni, fabbricarono una casa, e vi piantarono due