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Il minuto dettaglio, che ò voluto dare de’ costumi de’ Morlacchi sembrerà forse a più di uno stucchevole, e tedioso, ma sarebbe divenuto ancora più, se con istucchevole precisione avessi io voluto osservare tutte le inesatezze del Fortis. Io non so quanto sia lodevole la sua decisione in proposito di lingua Illirica „che morto l’Arcidiacono Sovich, non v’è più (sia detto con buona pace de’ vivi) chi possa a buon diritto chiamarsene Professore.“1 Per decidere sì francamente, bisogna posseder molto la lingua nostra, e conoscer i più puri parlatori di essa. Ebbimo motivo ad osservar in più luoghi, che il Fortis non la conosce appieno, e da que’ piccioli sbagli in picciole cose si può dedurre, che se avesse avuto traddur molto dall’Illirico, avrebbe preso de’ granchi assai maggiori. Pur nulla ostante ciò io lodo, ed ammiro assaissimo l’ingegno del Fortis, per aver egli in poco tempo appresa la lingua nostra a segno di poterla capire, e farsi capire. Serva ad esso di consolazione maggiore ancora, che un nostro Nazionale, che pretese di correggerlo, in qualche luogo dimostra, che il Fortis la capiva meglio di lui. Ciò si potrebbe oppore anche a me; ma degl’Intendenti sia questo il giudizio. E per por fine alla mia lunga diceria, per sempre amico all’Abate Fortis io mi dichiaro.
Vive, vale; si quid novisti rectius istis?
Candidus imperti; si non, his utere mecum.
- Hot. Ep. 6. lib. I.
- Hot. Ep. 6. lib. I.