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della Morlacchia, ed i vasi, che vi si fabbricano, non sono di terra semplice, ma vi si mescola sempre del marmo volgare Dalmatino, ben polverizzato, o di qualche altro sasso, che sia ben duro. Per questa ragione (cucinati che sieno in fornaci scavate nel terreno) riescono di somma durata, ed io vidi i Morlacchi, più volte venderli a prova, cioè uno di essi monta sopra il vaso, che si à da vendere, quale se resiste al peso è segno evidente, ch’ei deve essere di buona qualità.

Gli strumenti da Campagna, e specialmente gli aratri sono di gran lunga diversi da quelli degl’Italiani. In qualche Villa si trovò sotterra degli aratri antichi, che sono ancora più rozzi de’ presenti. Non saprei chi li avesse potuto adoperare. Sono questi i Romani? Sono gli Ungheri? Sono i Morlacchi stessi? Ciò nulla importa a sapersi. Le falci, ch’essi adoperano per tagliare le biade, ed i fieni pesano il triplo forse di quelle degl’Italiani, pur nulla ostante i Morlacchi le maneggiano. Quanto più facil cosa riuscirebbe loro a maneggiarle, se fossero fatte all’Italiana! I soli strumenti bene intesi, sono i loro carri se fossero fabbricati con meno rozzezza. Il pregio di questi consiste nelle ruote ragionevolmente grandi, e tutte uguali. È noto abbastanza ai Meccanici, quanto diminuiscano il peso ai Bovi, ed a’ cavalli le ruote uguali de’ carri, e quanto accrescano, quando ve ne sono due de’ disuguali. Da questo esempio non voglio peraltro inferire, che i Morlacchi sono buoni Meccanici, bensì mi pare di veder in essi disposizioni tali, che riuscirebbono a meraviglia. Un rozzissimo fabbro di una Villa del Territorio di Sign, detta Potravie, senza Maestro di sorte alcuna fece un orologio da camera, di ferro, che mostra le ore a