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abitanti, che diversi vecchi, che io ebbi a vedere colà, arrivassero chi a cencinque, chi a censei, chi a cent’otto anni. Se la Natura conserva Leggi inviolabili nel suo corso, dovrebbe certo essere, che quel Dandone Illirico1, di cui parla Alessandro Cornelio, citato da Plinio, che si crede giunto alla età di anni cinquecento, sia una favola, o s’ella non è favola, perchè non vediamo a nostri giorni degli uomini fra noi arrivare alla stessa età? Ma già la ragion è, che bisognava nascere in que’ tempi.

Perfine non mi è sembrato fuor di proposito, ora, che si à parlato de’ cibi de’ Morlacchi, di far una piccola aggiunta intorno all’avversione, ch’essi ànno per le rane, ed osservare, s’ella arriva a quell’eccesso, come raccontano quelli, che ingrandiscono sempre le cose, e cercar la ragione nel tempo stesso, per cui essi cominciarono abborrire un cibo, che per vero dire, non lo è disgustoso. Convien credere, naturalmente parlando, che l’orrore de’ Morlacchi per le rane provenga da qualche discapito apportato ad essi loro, perchè forse in alcuni luoghi, ove anticamente vivevano, sono perniziosissime, come il verro, od il majale in Arabia.2 Ma s’ella è cosa saggia di non mangiar de’ majali in Arabia, ella è una pazzia astenersene in Europa, e lo stesso si può dir delle rane, se pur v’è luogo, ove nuocer

  1. Alexander Cornelius memorat Dandonem Illiricum D. annos vixisse. Plin. l. 7. c. 48.
  2. Tacito dice, che i Giudei si astenevano del majale, perchè nocivo alla salute. Sue abstinent, memoria cladis, quod ipsos scabies quondam turpaverat, cui id animal obnoxium. Hist. lib. 5.