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che la Chiesa Romana veniva allora dispiegando impensierita dei successi non mediocri riportati in quei paesi (Ungheria, Transilvania, Valachia ecc.) dal Calvinismo; un po’ per lo stabilirsi dei gesuiti in Transilvania (1578) e in Polonia (1595); ma soprattutto per il terreno cedevole che trovava alla Corte del Voda; fece grandissimi e forse insperati progressi. Le missioni si moltiplicarono, e, con esse, le chiese e le conversioni; si parlò d’istituire in Moldavia delle scuole ed affidarne ai Gesuiti la direzione; si progettarono (e fors’anche si stamparono per conto del Collegio di Propaganda Fide) dei catechismi cattolici in lingua rumena1, ed il nunzio polacco concepiva (1859) persino il piano d’introdurre in Rumania il calendario di recente riformato da papa Gregorio XIII2. Erano i tempi (1568 — 1577) in cui Alexandru-Vodă-cel-Bun (Alessandro II, il Ruono), marito anche lui di una levantina cattolica, il cui epitafio latino si leggeva ancora ai tempi del Randini nella chiesa cattolica di Baia 3, „faceva eseguire a Roma a sue spese un’epigrafe per la chiesa cattolica di Târgoviște”, e suo figlio Mihnea (da non confondersi col Mihnea precedentemente ricordato) le regalava „i villaggi di Satinca e di Bezdad”4. Vennero allora in Rumania non pochi prelati italiani, molti dei quali scrissero relazioni del più alto interesse, come p. es. il Mancinelli e il Visconti5 Ricorderemo

  1. Iorga, op. cit.,
  2. Iorga, Istoria literaturii religioase, p. 108. Hurmuzaki, IX, p. LXIV.
  3. Cfr. Buletinul Comisiunii Monumentelor Istorice, III (1910) p. 59.
  4. Iorga, Breve Storia, ecc., p.
  5. Il quale ultimo ci ha lasciato nelle sue lettere una interessante descrizione della battaglia combattutasi sotto le mura della fortezza di Giurgiu, tra Michele il Bravo (aiutato dalle truppe del Granduca di Toscana, sotto il comando di Silvio Piccolomini) e i turchi rinchiusi nel castello. Un minuzioso resoconto della spedizione toscana in Valacchia ci ha lasciato col titolo di Descrizione del lungo et travaglioso viaggio che hanno fatto li cento Italiani o pur Toscani eletti dal Serenissimo di Toscana et dal medesimo mandati al Principe di Transilvania, un ignoto che par fosse uno degli ufficiali del Piccolomini. Ad onore del valore toscano, troppo spesso misconosciuto, riportiamo il brano che segue: „Il Serenissimo Transilvano (Michele il Bravo) et monsignor Nunzio di Sua Santità (il Visconti) et tutta la nobilita del essercito furon insieme spettatori et testimoni della virtù et del valore dagl’Italiani mostrato nel assalto, ma più al ponte [dell’isola su cui sorgeva la fortezza e che univa la della isola alla riva sinistra del Danubio]; et Sua Altezza disse che haveva bene allegrezza della vittoria, ma molto più che lutto l’essercito suo haveva veduto ch’egli non era solito a caso predicare le lodi de’ soldati d’I-.