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come ben mostra l’Erbiceanu1, la cultura neo-ellenica dell’epoca fanariota può ben considerarsi come non altro che un riflesso di quella italiana del Rinascimento.

Tra gli stranieri, che, sia come segretarii, sia come precettori, furono, specie nella seconda metà del secolo XVIII, ospiti alla corte dei Principi o in casa di nobili boieri, gl’Italiani non furono nè i meno numerosi, nè i meno ricercati. La lingua italiana, fin dai tempi della superba egemonia di Venezia sulle cose d’Oriente, era, in certo qual modo, la lingua degli affari e della diplomazia. Fin dalla seconda metà del secolo XVI, troviamo che un pretendente al trono di Valacchia e di Moldavia (Ioan Bogdan) scrive in italiano una lettera, in cui si raccomanda al Duca di Ferrara, e, verso la fine dello stesso secolo, un altro pretendente (Ștefan Bogdan) si firma: „Despot Steffano Bogdan Vaivoda, principe legitimo di Moldavia, Vlachia, ecc.”, quasi ad appoggiar la domanda d’aiuto che rivolgeva alla Serenissima, col mostrarsi esperto nella lingua dei potenti dominatori dell’Oriente. Un’altra lettera in italiano scriveva il 1691 Alessandro Mavrocordato al conte Chinski e non son certo queste le sole 2 che furon scritte nella nostra lingua a Papi, Dogi e altri Principi italiani e stranieri per sollecitarne l’aiuto, dagli innumerevoli pretendenti, che, nel secolo XVI, e più specialmente nella seconda metà di esso, pullularono non solo in Rumania, ma possiam dire in tutto il Levante ai troni di Valacchia e di Moldavia 3. Siano esse schietta farina del sacco di codesti signori, o, come par più verosimile supporre, siano state scritte


    va ricercata nel latto che la maggior parte di essi avevan fatti i loro studii in Italia, Codesti professori, la cui cultura era di non poco superiore a quella ordinaria di que’ tempi, han senza dubbio rappresentato una parte notevolissima nella nostra vita spirituale del passato...”

  1. Ibid. Cfr. anche l’altra memoria del medesimo: Priviri istorice asupra epocei fanariote in An. Ac. Rom., XXIV (1901—02), pp. 83 sgg.
  2. Ricorderemo qui, fra le tante, quella che Alexandru-Voda Ipsilanti scriveva, sempre in italiano, al Barone Bruckenthal, consigliere intimo di Stato nel Principato di Transilvania, datata: „Bukoreste 14/25 gennaio 1772” per chieder l’estradizione de’ suoi figliuoli, scappati di casa per desiderio di vedere il mondo.
  3. Nel 1777 Ienăchiță Văcărescu faceva a Brașov da interprete „în limba talienească” tra l’imperatore d’Austria-Ungheria Giuseppe II e i boieri rumeni, e nel 1770, preso prigioniero dal maresciallo russo Rumiantzoff, gli aveva scritto, pure in italiano, una lettera per invocare il medesimo trattamento degli altri prigionieri di guerra.