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che spronano, incantano, soggiogano il lettore, lo muovono a sdegnarsi o gli strappali le lagrime dagli occhi”.

Come, nella Virginia, Aristia non vedeva che „una tragedia d’argomento patriottico, una tragedia d’argomento romano”; così Asaki non vede, nel Saul, che „immagini d’amor patrio”, evocanti fieri fantasmi di giovani eroi sacrificatisi all’idea, „schiere infinite di martiri della verità”. Tutto quello che nel Saul non c’è, o per lo meno occorre molta buona volontà per vederci. Ma nel nome dell’Alfieri — lo abbiam visto — si era combattuto (1836) e si combatteva (1844) una grande eroica battaglia di libertà, in cui il Saul era stata la bandiera attorno alla quale i patrioti rumeni s’erano stretti e ordinati all’assalto! Ora una bandiera non è che un simbolo, ed un simbolo è pur sempre un’astrazione del nostro spirito, che non regge alla critica fredda della ragione, ma ha le sue radici profonde nel sentimento. Non possiamo perciò rimproverare ad Asaki e agli altri rumeni del suo tempo, di non aver posta — trattandosi dell’Alfieri — la questione estetica. „La grandezza vera dell’Alfieri”, — ben dice Arturo Farinelli, — „consiste nell’azione possente che il poeta ha esercitato, al pari del Rousseau, sulle posteriori generazioni, nell’incitamento che n’ebbero il Parini, il Foscolo, lord Byron, il Platen, il Leopardi, il Manzoni, il Mazzini, il Prati ed altri, infinitamente più che nel suo carattere eroico, magnificato fuor di misura, e nel valore poetico delle sue opere”.1

Noi siam lieti di poter aggiungere ai nomi del Byron e del Platen quelli di Heliade, di Negruzzi, di Aristia, di Asaki a mostrar l’influsso che la poesia del nostro tragico esercitò fuor dei confini della penisola; mentre, per ciò che riguarda l’arte del poeta, ci contentiamo che ad Asaki sia parsa qual’è veramente, e quale Alfieri la volle:


senza pari, nella lingua d’Italia!”.



  1. A Farinelli, op. cit., p. 549.