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meu) esortandolo ad ammirare „come parlano i poeti pontefici e imperatori (del regno delle lettere), sulla cui fronte posa la corona del genio che solo il Creatore può concedere ai miseri mortali”, e la Virginia „dell’immortale tragico Alfieri, argomento patriottico, argomento romano, tradotta da un cosmopolita e offerta a un rumeno (I. Văcărescu) degno de’ suoi maggiori per ingegno, per cuore, per patriottismo”.

Il merito dell’Alfieri sta tutto qui. „Più che di eccelsa poesia”, non posso trattenermi dal ricordare le belle parole del Farinelli, che sembrano scritte apposta per noi, „la nazione aveva bisogno di parole incendiarie, più che di artistiche riproduzioni della vita tranquilla e contemplativa, di cenni a movimenti rivoluzionarii”1. Tragedia d’argomento patriottico, d’argomento romano era la Virginia: che importava il resto? Per Aristia essa valeva, in quanto tale, assai più di qualsivoglia altro capolavoro dell’arte tragica ispirato a criterii di pura bellezza; valeva, forse e senza forse, più del Saul medesimo, cui non tocca che la fredda lode che può contenere l’aggettivo di „grandioso” o di „pomposo”. La questione estetica insomma non si poneva: Alfieri era sì il patriarca de’ tragici italiani, uno di quei poeti sommi (imperatori e pontefici della Poesia) sulla cui fronte posa la corona del genio, che solo Iddio può dare ai poveri mortali; ma solo in quanto le sue tragedie insegnavano a


schiavi spregiare ed aborrir tiranni;


perciò la sua fama si accettava, non si discuteva.

Nessuna dunque delle questioni, cui il teatro alfieriano dà luogo, poteva in tali condizioni d’animo e d’ambiente interessare; nè la sostituzione dei monologhi ai dialoghi coi confidenti, nè l’esclusione dei sentimenti teneri, nè la voluta durezza del verso.

Discutere intorno a tali quisquilie sarebbe a quei tempi sembrato un delitto di lesa patria, o, quanto meno, un bizantinismo di fannulloni, una insopportabile e colpevole pedanteria. „Constructii robuste” si espresii energice” notava forse Aristia nella poesia dell’Alfieri, e alle difficoltà offertegli da tali caratte-

  1. Farinelli, op. cit., p. 545.