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sibile a disimpegnare“, „Muncă ’ndrăzneață ’mi am propus a traduce pe Alfieri; incă nu și zadarnică”.

E, continuando: „Limba rumânească ’mi e dragă, este priimitoare de noutăți, precum este iubitor de stremi și rumânul”. Queste parole sarebbero assolutamente strane, qualora non si riferissero alle critiche dell’Albina. Chi infatti poteva mai dubitare di cose tanto evidenti? Ma Aristia era stato accusato nientemento che di svisar l’indole della versificazione rumena, e d’aver introdotto parole „spurcate” nella sua traduzione del Saul. Ecco dunque la necessità di difendersi. — „Voglio bene anch’io alla mia lingua; solo non la ritengo cristallizzata al punto da non poter assumere nuovi atteggiamenti. Al contrario, anzi. Come in generale il rumeno è ospitale cogli stranieri, così anche la lingua rumena accoglie facilmente le novità — La difesa non è troppo abile, tanto è vero che difenderci è difficile anche quando le colpe apposteci non abbian neppur l’ombra della verisimiglianza! Anche meno ci convincono le righe seguenti, in cui Aristia vorrebbe darci a intendere, che nessun’altra lingua si presti meglio della rumena a ridar tutte o quasi le bellezze di un testo italiano in genere e alfieriano in particolare! Povero Aristia! Lui che aveva compiuto davvero uno sforzo erculeo a tradurre in versi rumeni la più finita delle tragedie alfieriane, eccolo, per difendersi dagli attacchi di Asaki, a dimostrare che quanto ha fatto non è che la più facil cosa del mondo! Sentitelo: „Lo stile alfieriano si confà alla lingua rumena meglio che ad ogni altra lingua. I costrutti robusti, la misura, l’esattezza, la cadenza son tutte cose la cui bellezza non si può conservare traducendo dal greco antico, dall’italiano e da altre lingue, come si riesce a conservarle in rumeno tali quali sono nell’originale”. E a prova di quanto afferma, cita le numerose traduzioni in versi e in prosa dal greco antico, dall’italiano e dal francese in greco moderno, che non si azzarda ancora a pubblicare, perchè (dobbiam credere) non gli finiscono di persuadere. Che il greco moderno, e specialmente quello parlato di cui intende dire Aristia, si presti meno del rumeno a chi si proponga tradurre dall’italiano o dal francese o da qualunque altra delle lingue neolatine non saremo noi a negare; ma che lo stesso si possa dire per chi si proponga di tradurre dal greco antico, non ci sentiremmo di affermare. Ci son poi le altre lingue che Aristia di-