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della tragedia alfieriana dopo la rappresentazione del ’36, fossero un po’ sulle bocche di tutti, si ricordassero le due lettere del Negruzzi, nelle quali s’informavano i lettori della Gazeta teatrului degli entusiasmi prodotti tre anni prima da una semplice lettura della traduzione di Aristia, e Asaki intendesse buttare un po’ d’acqua sul fuoco, sembrandogli (e non possiamo in questo dargli torto) che il Negruzzi avesse in quelle sue lettere esagerato alquanto quegli entusiasmi.

Quel che più dovette dar sui nervi ad Asaki, moldovano puro sangue e come tale un po’ geloso delle tradizioni letterarie della sua terra, dovette essere l’atteggiamento assunto dal Negruzzi di farsi portavoce dell’opinione pubblica non solo di Iași, ma di tutta la Moldova, mentre, in fin dei conti, non aveva sentito leggere che solo „alcuni frammenti” della traduzione di Aristia, e questi in una riunione letteraria, cui necessariamente dovette assistere un pubblico assai limitato d’intervenuti.

Con tutto ciò, il tono dell’articolo è interamente sbagliato, le critiche insussistenti e talvolta puerili, le lodi fatte a denti stretti. Aristia dovette tanto più aversene a male, quanto più appariva manifesto, che il suo critico non era in buona fede, quando gli faceva colpa di ciò ch’era invece il merito maggiore della sua traduzione: la fedeltà all’originale dell’Alfieri1.

Il volume, è vero, era stampato fin dal 1836, ma probabilmente ad Aristia rimanevano quasi tutte le copie, giacchè gli avvenimenti di quell’anno, e soprattutto la chiusura del Teatro Nazionale, determinata appunto dai sospetti cui aveva dato



  1. Bene Heliade, p. 560, del suo lungo articolo polemico pubblicato nel Curierul românesc dell’11 ottobre 1839 (anno X, numero 159): „D. Criticul găsește greșală în traducere pentru ce să fie din vers italienesc în vers rumânesc! Găsește greșala pentru ce să semene Alfieri cu Alfieri, iar nu a un Bucureștian sau Iașan stricat, care nici numele de artă nu știe ce va să zică, și aceasta o numește scopos Erculic; dar cum gândenști, domnule? Ca traducătorul lui Saul sa ia un scopos și pas de pigmeu...? Erculan pas trebue; pas de bărbat erculeu ce ajunge departe...”. [„Il signor Critico considera come un difetto della traduzione che sia fatta in versi. Gli par difetto che Alfieri rassomigli ad Alfieri e non all’ultimo Bucarestino o Iasceno che dell’arte non sappia neppure il nome, tanto è vero che la chiama fatica d’Ercole. Ma che pensa Ella, signor mio? Forse che il traduttore del Saul assuma impresa e passo da pigmeo?... Passo erculeo ci vuole; passo virile, che porta lontano...”]. I puntini sostituiscono in questo brano delle espressioni di Heliade che ci sembrano un po’ troppo... vivaci all’indirizzo di Asaki.