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perderemo altre parole a confutare la curiosa teoria dell’Asaki, secondo il quale i versi corti sul tipo italiano e francese metterebbero il poeta rumeno in grande imbarazzo. Anche quest’affermazione è contraddetta dai fatti. Durante l’imperversare della procella romantica, s’imitarono in Rumania con successo ogni sorta di metri — di corti e di lunghi — italiani, francesi e persino spagnuoli, senza che ne risultassero tutti gli inconvenienti che lamenta il critico dell’Albina românească, senza dire che, prima ancora che il Romanticismo richiamasse sull’Italia e la sua letteratura l’attenzione dei letterati rumeni e prima che s’iniziasse il movimento italianizzante promosso da Heliade, un antico poeta e diplomatico rumeno vissuto a lungo alla corte di Vienna (Ienăchiță Văcărescu) aveva composto — come abbiam visto — canzonette metastasiane e rolliane un po’ svenevoli, un po’ insipide, ma impeccabili addirittura per ciò che riguarda la riproduzione del metro1. Dunque? Dunque seguitiamo per ora a riassumere



  1. Nell’articolo sopra citato del Curier românesc, Heliade, dopo aver mostrato i diversi tipi della versificazione rumena popolare, ricorda come, al tempo della venuta in Rumania dei Fanarioti, un bel gruppo di poeti, cioè Enache e Alecu Văcărescu, Fonseca, Iordache Slătineanu, Barac, Aaron ed altri sì di Muntenia che di Moldavia (ed in special modo Iancu Văcărescu) „pe lângă cadința cea veche cu religiozitate păzită în toate versurile sale, a însoțit și luxul rimei întru toată eleganța și curățenia ei; pare ca ar fi arătat, că limba Rumânească e priimitoare și de versificația italiană, ca una ce are același început, mai acea materie și mai acea gramatică; și ca una ce e mai asa de cântativă”. [.....all’antica cadenza religiosamente conservata in tutti i suoi versi, ha saputo accoppiare il lusso (l’ornamento) della rima in tutto lo splendore della sua eleganza, sicchè pare abbia voluto dimostrare che la lingua rumena è tale da potersi adattare (senza sforzo), alla versificazione italiana, come quella che ha avuto la medesima origine di questa, lo stesso lessico e la stessa grammatica, come quella infine che tanto bene si adatta al canto”]. Orbene il Văcărescu — lo abbiam visto poco sopra — riuscì a trapiantare in Rumania il metro della canzonetta metastasiana e rolliana, lusingando coll’armonia de’ suoi versi (cortissimi!) l’orecchio dei contemporanei, che lo paragonarono persino ad Anacreonte e non si accorsero affatto delle famose cacofonie e degli altri inconvenienti che Asaki riteneva inevitabili nell’uso de’ versi giambici, trocaici e dattilici del tipo italiano e francese. Il più curioso è, che tra le poesie d’Asaki non ne mancan di quelle, in cui egli stesso adopera gli odiati versi corti! Cfr. p. es. le numerose anacreontiche da lui composte sulla primavera ed altri soggetti arcadici, e per tutte quella che incomincia:

    Iata primăvara lină
    Dorul nostru au plinit,