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Signor mio!

Giorni sono ho avuto il piacere di sentir leggere ad una soirée letteraria alcuni brani della tragedia Saul tradotta dal signor Aristia. Incaricato da alcuni amatori (del teatro) di farmi presso il sig. Traduttore interprete dei loro sentimenti di riconoscenza per aver arricchito la nostra letteratura di questo gioiello, credo mio dovere comunicarle l’opinione dei moldavi intorno a quest’opera e di unir la mia voce a quella di tutti coloro che sentono che cosa è il bello, per tributare al talento del sig. Aristia la lode che gli spetta.

Un favolista, non ricordo più quale, afferma che la traduzione sta all’originale come la luna al sole. Può darsi che in un certo senso egli abbia ragione, quando intenda di quelle traduzioni, i cui autori, per pigrizia o ignoranza, trasportano col dizionario alla mano ad una ad una le parole da un dialetto all’altro (per Negruzzi che seguiva la teoria italianizzante di Heliade, il rumeno non era che un dialetto dell’italiano) senza darsi pensiero dello stile e degli idiotismi e fanno un pasticcio ch’essi soli son buoni a capire. Ma — per lo iddio Apollo! — altro è scrivere pappagallescamente armato d’un dizionario, altro ridar nella propria lingua le idee e il senso di un autore straniero.

Il sig. Aristia, scrivendo nello stile più acconcio e armonioso, ha tradotto il Saul come lo stesso Alfieri non avrebbe saputo far meglio, se avesse conosciuto il rumeno e avesse voluto fare ai Rumeni il dono delle sue tragedie. Noi compiangiamo Saul tanto sventurato sotto la sua porpora; Saul frenetico, dal quale s’è allontanata la mano del Signore; ci commuove la giovinezza di Micol; ci rapisce l’amicizia di Gionata; amiamo la mansuetudine di David! Quanta pietà in quella risposta:

A dargli gloria il nomo.....

Chi non si è sentito tremare il cuore (di commozione) a queste pindariche strofe:

Bella è la pace! ecc., ecc.

In una parola, leggendo Aristia, noi leggiamo Alfieri medesimo, e se nel testo italiano la tragedia dell’Alfieri sembra più