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chie 1 che, a p. 97 delle sue Schițe, finisce anche lui col domandarsi: „Una così grande esuberanza nella manifestazione della nostra latinità nel secolo XVII sarebbe mai dovuta unicamente ad una reazione contro la corrente slava?” Alla qual domanda egli risponde: „Io propendo ad attribuire una grande importanza, per ciò che riguarda la formazione di un tal convingimento nazionale, alle università polacche ed in ispecial modo al fatto (che rappresenta per noi rumeni una fortuna) che in codeste università i Jaghelloni chiamarono ad insegnare numerosi professori italiani.” 2

Riassumendo, un bel giorno ad Enea Silvio Piccolomini (che non doveva certo ignorare gli sforzi d’Innocenzo III per attrarre i Rumeni nell’orbita del Cattolicesimo e probabilmente sapeva pur della famosa lettera, in cui Ionità afferma sè e il suo popolo de Romanorum sanguine descendisse); salta il ticchio di voler dimostrare codesta tesi dell’origin latina de’ Valacchi con una di quelle etimologie cervellotiche, di cui i nostri vecchi pareva avessero il privilegio, e, trovato il suo bravo ubi consistam in quattro sonanti versi d’Ovidio, eccolo ad affermare con quella medesima sicurezza colla quale lucus si faceva derivare a non lucendo come qualmente Vlah non rappresenti che una pura e semplice corruzione del latino Flaccus. Ma il Rinascimento italiano ben presto emigra in Polonia: con Arnolfo Tedaldi e Pandolfo Collenuccio dapprima, più tardi con Filippo Bonaccorsi e fa sì che ai tempi dello Zamoyski, quando la Polonia faceva per l’appunto l’occhio di triglia alla Moldavia, si conoscesse tra’ quei „barbari” abbastanza latino da legger nel testo le opere del Piccolomini 3 e da trarne la notizia del famoso Flaccus ge-

    la vita, con questa differenza che questi (i Rumeni) lo mangiano salato, quelli (gl’Italiani) sì d’estate che d’inverno non inacidito. Tutte queste cose trovali riscontro in Italia e basta guardare in viso i Moldavi per riconoscere il sangue.” Assai meraviglia mi fecer le parole di quel vescovo, che mi venivano così a proposito per la mia Storia.” op. cit., I, p.

  1. Da non confondersi coll’antico cronista omonimo Grigore Urechie.
  2. Cfr. V. A. Urechie, Schite de istoria literaturii române, Bucuresti, 1885.
  3. E del Bonfinio che nelle sue Rerum Hungaricarum Decades, Lipsiae, Kraus, MDCCCXXI, insiste più volle a proposito di Mattia Corvino, (rumeno per chi con lo sapesse,— anzi „romanus ac latinus homo”, secondo un panegirista italiano, — e non ungherese come ci hanno l’atto imparare a scuola) sull’origine latina dei Valacchi: „Quamquam varine Barharorum erupliones,