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queste contrade Trajano imperator de’ Romani, e lasciandovi soldati a guardia, un certo numero di Daci aver solo allora adottata la lingua latina 1. Risulta di qui: 1) che gli umanisti polacchi discutevano ancora 2 ai tempi di Miron Costin della questione posta dal Piccolomini; e 2) che tali discussioni trovavano un’eco negli scritti di quei rumeni che, in quell’epoca di preponderanza polacca nella politica della loro patria, venivano frequentemente a contatto con quella civiltà, che tanto aveva risentito e risentiva ancora de’ benefici effetti del nostro immortale Rinascimento. Del che pare sia pienamente convinto V. A. Ure-

  1. Op. cit., I,p.378: [„Credem neputinței omenesci! Iar este altulu, de nèmul seu Lèhu, Jan Zamoskie, carele orbu năvălesce, că nu sunt Moldoveniì nicǐ Muntenii din Romlèni; ci trecêndu pe aice, pre aceste locurǐ, Trajan împeratul Romului, si lasându slujitorĭ de pază, au apucatu o sèmă de Dacǐ limbi romlenèscă”]
  2. Ciò risulta del resto anche dalla Prelazione al Poema scritto dal medesimo Costin in polacco Sul popolo moldavo (Opisanie Ziemie Moldawskiej): „Malgrado gli storici polacchi più rinomati, accanto agli avvenimenti militari della Moldavia e della Valachia, e, sopratutti il Cromer e il Piasecki riconoscano persin l’origine italiana degli abitanti di quelle terre; pur tuttavia non si stillano affatto il cervello per sapere quando e da chi gl’Italiani furon portati nella Dacia, nè mostrano di avere notizia alcuna della seconda immigrazione moldava”, op. cit., II, p. 77. Del resto il Costin aveva modo di raccoglier notizie sull’Italia e gli Italiani dalla viva voce di un vescovo italiano, che tutto porta a credere sia Monsignor Vito Piluzio da Vignanello, dell’Ordine dei Minori Conventuali di S. Francesco ed autore di una Dottrina Cristiana tradotta in lingua Valacha, della quale avremo occasione di riparlare. Da lui ebbe p. es. notizia di molti usi e costumi italiani che trovan riscontro in altrettanti usi e costumi rumeni: „Molte usanze esistono anche al presente in questo popolo (il popolo rumeno) che sono italiane: per esempio l’esser (come gli italiani) larghi di ospitalità nelle loro case e alla mano con tutti; il ricever che fanno con piacere chi lor vada a far visita, e così son simili nei divertimenti e nel domandarsi che fanno l’un l’altro notizie della salute e degli affari, senza offendersene. Chi è stato in Italia ed ha osservato gl’Italiani, non avrà bisogno d’altra prova per indursi a credere che Italiani e Moldavi formano un solo e stesso popolo. A casa nostra, a Iassy ebbi un giorno occasione d’intrattenermi a conversare su codesto argomento con un vescovo italiano, e, fra le altre cose di cui egli spontaneamanle mi parlò, mi disse anche qualcosa intorno agli usi dei due popoli, esprimendosi a un dipresso così (ed era uomo intelligente): „ Quando a me „disse” io non ho bisogno di andare a leggere nelle Storie chi siano i Moldavi. Da un gran numero di ottime usanze che ho ritrovate presso di loro, argomento l’origine del popolo; come p. es. dal loro trasporto per i banchetti, dal tenere a che la donna non passi prima dell’uomo sul sentiero o sulla via battuta; dal mangiar volentieri cavolo tutta