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per la maggior parte cariche ufficiali, distintivi onorifici, oggetti riferentisi a usi introdotti da’ Turchi e costituiscono una specie di gergo burocratico comune sì al Văcărescu che ad altri scrittori del tempo, mentre italianismi crudi, come p. es. favore, dicherară, impatroniră non ci avverrà di trovarli neppure in quella specie d’italo-rumeno, in cui, dopo il 1840, scrisse il più fanatico degli italianisti rumeni. La cosa è tanto strana, che il solo fatto della conoscenza dell’italiano da parte del Văcărescu non basta a spiegarla; onde io sospetto che i brani nei quali quelle parole si trovano sien tradotti, e tradotti dall’italiano, tanto più che ai tempi del Văcărescu le opere del Giovio1, del Sansovino2 e del Cambini3 riguardanti la storia dell’Impero ottomano dovevano già da qualche tempo esser penetrate in Rumania. È tutt’altro che improbabile che. il Văcărescu siasi servito per la sua Storia dell’Impero ottomano di fonti italiane; ad ogni modo, poi che a me non è riuscito accertarlo, dò la cosa come semplice sospetto, pronto a chiederne scusa al Văcărescu, se qualcuno dimostrerà trattarsi d’un giudizio temerario4. La

  1. Turcicarum rerum commentarium Pauli Jovii Episcopi Nucerini, Parisiis, Ex Officina Roberti Stephani, M.D.XXX. VIII.
  2. Historia dell’origine, guerre ed imperio dei Turchi, raccolta da Fr. Sansovino, Venezia, Andrea Cambini, 1654.
  3. Commentario de Andrea Cambini fiorentino, della origine de’ Turchi et imperio della casa ottomanna, Venezia, 1540 e 1654, a non parlare di una Cronica dell’origine e progressi della casa ottomana di Saedino Turco, tradotta da Vincenzo Bratulli raguseo, interprete di Ferdinando III, Vienna, Matteo Riccio, 1649, che il Văcărescu poteva leggere nel testo.
  4. Anche il Iorga del resto rileva (Ist. lit. rom. in sec. al XVIII-lea, II, 144-45) che gl’italianismi (e in genere gli esotismi) son più numerosi nei brani che si fondano su fonti scritte: „Mai ales cît timp istoricu se răzimă pe izvoare scrise, stilul are o înfățișare petecită, macaronică. Întâlnim expresiì de jargon levautin, locuții de Smirna în opera de căpetenie a slăvituluì poet: ’ciflic’alăturea de ’protețione’, ’famoz’, ’trecvă’... ’ribelione’, ’prigionier’, ’locotenente’” Correggendo le bozze aggiungo che tra queste fonti scritte, il Văcărescu stesso (p. 246) ammette (cfr. Iorga, op. cit., II, p. 143), „istorici itali”. Tra i quali sarà da annoverare anche il Piccolomini, come appare da un interessante periodetto, in cui ci fa sapere la sua opinione sull’italiano che avrebbero parlato i primi coloni romani e le ragioni per cui, malgrado ciò, oggi in Rumania non si parli italiano. Cfr. Iorga, op. cit., II, 278: „Secondo il Văcărescu (che crede in Flac), Traiano avrebbe trasportato in Rumania coloni italiani, e, naturalmente, questi italiani non potevano parlare altra lingua che l’italiana. Ma questi emigrati eran uomini rozzi che non sapevan di lettere e mancavan persino di ma-