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liano similmente si servì in un’altra men piacevole circostanza per comunicare col feldmaresciallo Rumiantzoff, che lo aveva fatto prigioniero, mentre andava a Focșani dove stava per riunirsi il congresso (o, come diremmo oggi la Conferenza) per la pace fra Russia e Turchia, allora (1770) in guerra per il possesso appunto de’ principati di Valachia e di Moldavia. Malgrado dunque il Văcărescu, munito del suo bravo passaporto austriaco, si recasse a Focșani dal Gran Visir per una missione diplomatica (ad esporgli cioè i bisogni del paese, dei quali i boiardi desideravan si tenesse conto nella stipulazione della pace, che poi non si fece se non il 1774); il maresciallo russo non volle sentir ragioni, e, fattolo per intanto arrestare, „lo tenne diciotto giorni tra le tende del suo accampamento, esposto alla canicola” e colla paura in corpo di esser da un momento all’altro sbalestrato chi sa dove in esilio. Fu allora, che, volendo uscire a ogni costo da una così spiacevole situazione, Ienachiță pensò, com’egli stesso ci racconta nella sua Istoria împerăției otomane (pp. 168-171), di scrivere al generale Rumiantzoff una lettera in italiano, il cui testo purtroppo non possediamo più, ma che, anche nella traduzione rumena in cui il Văcărescu ce la tramanda, ha qualche interesse per noi, dati i numerosi italianismi, dei quali l’ha addirittura infarcita.

Poi che ci sembra che ne valga la pena, la riportiamo qui per intero, stampando in corsivo (si vegga il testo in nota) le parole che rappresentano i più gravi e direi quasi scandalosi italianismi:

„Eccellenza, signore e padron mio. Poi che la sorte e il mio destino han pur voluto far di me, uomo inerme (e in tempo di tregua) un prigioniero delle apportatrici questa volta di vittoria, armi russe; mentre ero pur munito di passaporto con Cesarea protezione, per la sola colpa di serbar fede, come di dovere, ai padroni che Dio mi ha dato; sono in tutto riconoscente al caso e al destino che un siffatto specialissimo onore han pur voluto procacciarmi, onde non rivolgo all’Eccellenza vostra altra preghiera se non di venir spedito qualche ora



    safia, Pietro Metastasio (Vienna, Gerold e C., 1882), recitato nel primo centenario della morte del poeta, e il recente interessante opuscolo di Umberto De Bin, Leopoldo I e la sua corte nella letteratura italiana, Trieste, Caprin, 1910, su cui cfr. Giornale, st. d. lett. it., LIX, 451-52.