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Pietro Metastasio e i poeti Văcărești


1. Il settecento rumeno e la poesia pastorale.

Fra i numerosi stranieri del sei e del settecento, che, „dell’amara realtà... „della nostra decadenza intellettuale”1 si fecero un’arme per colpirci alle spalle, e, ,,perduto ogni rispetto per la terra sventurata..., gioirono di umiliarla, di avvilirla, di sfrondare e gettare nel fango la corona che l’arte e la scienza le avevano cinta”2; una lodevole eccezione fanno i Rumeni, troppo sventurati anch’essi ai tempi della dominazione fanariota (1711-1821) e troppo fieri della testé ritrovata coscienza latina, per osar con sacrilega mano infangar quella ch’essi amavano e rispettavano madre.

Mentre il Boileau (1666) confessava in versi, dei quali ebbe poi a vergognarsi, di non potere

                  sans horreur et sans peine
Voir le Tibre à grands flots se mêler dans la Seine,
Et traîner dans Paris ses mimes, ses farceurs,
Sa langue, ses poisons, ses crimes et ses moeurs,
Et chacun avec joie, en ce temps pleins de vices,
De crimes d’Italie enrichir sa malice3,



  1. Alfredo Galletti, nella sua bella recensione al volume di Gabriel Maugain, Étude sur l’évolution intellectuelle de l’Italie de 1657 à 1750 environs, Paris, Hachette, 1909, in Giornale storico della letteratura italiana, LVIII, 205.
  2. Ibid., p. 207.
  3. I due versi stampati in corsivo si leggevano in un’edizione rarissima e anonima delle satire I, II, IV, V, VII, stampata a Parigi nel 1666 e intitolata Recueil eontenant plusieurs discours libres et moraux en vers. Cfr. Galletti, op cit., p. 209, e J. Lemaître, Jean Racine, Paris, Lévy, 1908, p. 82.