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Valacchia? Sarebbe ad ogni modo esagerato attribuire al Cantacuzino tutto il merito di quella civiltà italo-rumena, che si rispecchia soprattutto nell’architettura e più ancora nell’arte decorativa del tempo. Se, passeggiando tra le aiuole del giardino disegnato all’italiana del palazzo di Mogosoaia, o ammirando la vaghezza e l’eleganza dei fogliami nella balaustra della loggia, il Del Chiaro, che aveva finito allora di tradurre il Fior di filosofi e palpava in tasca la medaglia d’oro che il Principe gli aveva regalata quella mattina stessa e rammentava nel conio le oselle dei Dogi, poteva illudersi di trovarsi in qualche villa veneziana di terraferma; il merito è meno del Cantacuzino, informatore coscienzioso ma freddo, che del Brâncoveanu, principe artista sul tipo dei signori italiani del Rinascimento, adoratore come loro di ogni raffinata eleganza, come essi ambizioso e liberale; deciso com’essi a godere, tra i pericoli di una politica a due tagli, dell’attimo fuggente che non si rinnova, adoratore della gloria e protettore delle lettere.

Colla sua morte (1714), e con quella del Cantacuzino (1716), avvenuta anch’essa a Constantinopoli per mano del carnefice, si chiude un’epoca sì nella storia civile rumena, che in quella della cultura italiana in Romania. Fin qui, l’influsso italiano è stato diretto e preponderante su quello francese. Coll’avvento al trono dei principati rumeni dei greci del Fanar, le cose cambiano radicalmente, e, malgrado il numero maggiore delle traduzioni che ci avvien di riscontrare in questo periodo, l’influsso italiano può considerarsi già in decadenza. I fatti parlano chiaro. Ai tempi del Brâncoveanu, un testo francese aveva bisogno d’esser tradotto in italiano, perchè potesse veder la luce in greco e poi in rumeno. Sotto i Fanarioti, non solo la novella di Raimondo da Messina appar tradotta dal francese, ma il Decamerone stesso diventa pel traduttore il „Decamerone di Francia“. Nè possiam placare l’ombra sdegnata del Boccaccio, informandola che s’è dato il caso di qualche opera francese (il Thèlèmaque del Fènèlon) penetrata in Rumania attraverso il tramite italiano. Petru Maior che l’ha tradotta era un rumeno di Tiansilvania, dove l’influsso della cultura francese fu, ed è oggi ancora, piuttosto limitato. Per avere una nuova fioritura d’italianismo, effimera anch’essa e dovuta più all’entusiasmo di un uomo che ad una