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divenuti i servi degli scolari; un podestà del seicento, che questi „sono sempre uniti o contra cittadini o contra populatione per ogni picciol accidente.” Hanno quindi colore di verità le lamentazioni sugli eccessi degli scolari, che il poeta padovano Carlo de’ Dottori argutamente pone in bocca a suoi concittadini. Par di vedere la gioia del Podestà del 1547, quando informava il Senato, che in quell’anno gli scolari erano andati anche di notte „ubidientissimi e senz’arme”, e che in tutta pace avevano atteso alle „pratiche loro”. Queste „pratiche” erano le elezioni del Rettore e delle altre magistrature delle due Università, e sino al 1560, di alcuni professori di cattedre secondarie. Di solito, le elezioni dividevano gli scolari in fazioni; era un correre attorno con spade e archibugi; schiere di trecento o quattrocento armati, militarmente ordinate sotto capitani, passavano per le vie fra il terrore dei cittadini; nelle assemblee si scambiavano le accuse i candidati dell’una e dell’altra parte (quella di luteranismo era frequente contro i tedeschi) e dalle parole ai fatti breve il passo: la battaglia aveva per campo la città”. Con tutto ciò, „i padovani parlavano con benevolenza dei „poveri scolari” inseguiti da birri e da soldati; e, dopo ogni tumulto, s’addoloravano per il pericolo d’un abbandono dello Studio, piuttosto che rallegrarsi della punizione dei colpevoli, talora severa ed esemplare. Si erano abituati i cittadini, di padre in figlio, ad assistere ai grandi cortei del Rettor nuovo, alle lauree solenni, alle splendide accoglienze di principi e re di passaggio per Padova fra il plauso degli scolari, ai lunghi funerali di maestri e discepoli. Nè mancava ai Padovani l’occasione di sorridere bonariamente, quando qualche grande scolare si rendeva in carcere con musiche e largo stuolo di colleghi; o, dopo le liti, e le battaglie frequenti fra le diverse „nazioni” di scolari, nascevan festose le paci e le alleanze, come tra’ cavalieri antichi! Sapevano inoltre i Padovani... che al commercio della città giovavan molto gli scolari, e,...quando il Podestà G. B. Contarini fece rifondere nel 1575 la campana grande della torre maggiore, che serviva allo studio, „la cosa era” — egli osserva — „desiderata da tutta là città”. Quella campana diceva ai padovani del sec. XVI che da trecento anni le corporazioni degli scolari vivevano nella loro tranquilla città, da cui niun evento aveva potuto staccarli!”.