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(duhovnici) racconta che „un di costoro consigliò una volta una sua penitente di prendere clandestinamente al suo padrone il denaro necessario per far dir messe, dicendole che, non essendo costui cristiano, cioè del rito greco, non era peccato levargli questa piccola somma per impiegarla in un’opera così santa”1. Altrove, che il prete che porta l’eucaristia „non ha difficoltà di entrare in una bottega per discorrere, ed anche in una taverna per bevere”2. Al nostro Raicevich non garba infine l’innovazione pericolosa introdotta da Costantino Mavrocordato di far celebrare l’ufficio divino in rumeno, piuttosto che in islavo com’era in uso sotto i suoi predecessori: „L’ufficio divino si celebrava anticamente in lingua slava, che era ignota e al sacerdote e al popolo: il principe Costantino Mauro Cordato, uomo molto inquieto (!!), lo fece cambiare nella lingua valaca, che essendo molto scarsa di termini, la traduzione è ridicola”3. Inoltre „i preti cercano solo il loro privato interesse, e, per conseguire questo o trascurano, o abusano del loro venerando ministero”4; „opinioni sciocche e superstiziose formano tutto il loro sapere teologico”5; il popolo „non ha la menoma istruzione della morale cristiana”6. Insiste sulle superstizioni, e, specialmente su quella dei Vampiri (= Strigoi): „Una delle scene più ridicole e utili ai preti, è quella dei Vampiri, dacché pretendono che un cadavere, il quale non si corrompe subito, e conserva ancora una spezie di vita, che l’anima non sia interamente separata dal corpo, nè può separarsi, se in tempo che era vivo il soggetto fosse incorso in qualche scomunica ecclesiastica, o palese o tacita, e che tra tanto la notte esce dalla tomba, e cerca di fare altrui ogni possibil male. La prima prova o sospetto di ciò, per gli animi già prevenuti, è che la terra che ricuopre il cadavere si vede smossa e scomposta; il prete, la sua moglie per i primi, indi tutto il vicinato, cominciano a susurrare e fare riclami ai parenti del defunto, i quali debbono assolutamente pagare il prete per dissotterarlo e liberarlo dalla scomunica. In fatti, se

  1. Op. cit., p. 231 dell' edizione napoletana.
  2. Op. cit., p. 233.
  3. Op. cit., p. 242.
  4. Op. cit., p. 247.
  5. Op. cit., p. 244.
  6. Op. cit., p. 231.