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poi in un libro di viaggi, dal quale preferirebbe imparar a conoscere multorum mores hominum... et urbes. Inoltre la minuzia archeologica e numismatica delle sue osservazioni, assolutamente fuori posto1 in un libro di viaggi, giunge fino al punto da fargli perdere quattro buone pagine intorno al porumb e al modo con cui si fa la mamaliga, come se il granturco e la polenta fossero delle cose tanto rare e peregrine, da aver bisogno che le scoprisse lui in Rumania. Con tutto ciò una pagina in cui descrive la casa bojeresca di campagna2, un’altra che riguarda i servi, infine quelle che dedica alla descrizione della Curtea de Argeș, meri-

    viamo la seguente domanda: '„La Datura arborea se multiplie-t-elle par graines?” Nota giustamente lo Scherillo (p. XLI) come in questo amore del M. per la botanica, si confondessero due amori: „quello avito del signore lombardo e quello nuovo del figlio dell’Enciclopedia e della Rivoluzione.”

  1. Gemma Sgrilli nel suo ottimo studio: Viaggi e viaggiatori nella seconda metà del Settecento (in Miscellanea di Studii Critici pubblicata in onore di Guido Mazzoni), Firenze, 1907, II, 300 124) rileva questo carattere comune alla maggior parte dei viaggi del Settecento, i quali, anche quando „ci danno i resultati di esplorazioni scientifiche fatte con scopo determinato”, recano nondimeno in sè „qualche traccia del tempo, e, come lo scienziato, un po’ enciclopedico anch’esso, non poteva compiere il suo viaggio senza osservare un poco anche ciò che non riguardava direttamente il proprio argomento, così qualcosa gli veniva fatto di esporne nella sua relazione,...benché, per lo più, in limiti molto ristretti.”
  2. Eccola: „É curiosa poi l’uniformità delle case di campagna, o ville che dir si potrebbe, che hanno tutti i Bojari nelle loro possessioni, il che fa vedere che tra di loro ritrovasi lo spìrito d’imitazione, e non il talento dell’invenzione. E perchè uno non debba restare con il desiderio sopra di ciò, dirò che una abitazione è fatta nella seguente maniera. È un gran recinto quadro di muro, costrutto tutto di mattoni, in mancanza di pietra per tali pianure: nel mezzo a questo resta piantata la loro casa, in croce per lo più, e sul gusto chinese, ricoperta con un tetto fatto a gran padiglione, composto invece d’embrici e tegole, di piccole tavolette, regoli, e tramezze, o, come dicono i francesi, à la Brancarde, dal nome dell’architetto. Una tale maniera di costruire i tetti può avere il suo vantaggio affine che le grandi nevi, che cadono, non siano di danno a tutto l’edificio pel loro peso. Le scale poi della casa restano sempre fuori, e le quali mettono in un verone scoperto, e dal quale si ha l’ingresso nel primo ed unico piano della casa, oltre quello a terreno. Le scale poi sono per lo più di legno, ma si ritrovano anche di pietra calcarea fatte venire dalle montagne della Valachia. Avanti la facciata della casa, si ha sempre una grande e spaziosa piazza, nella quale si vedono diverse casucule, per servizio della servitù, stalle per li cavalli e per li porci, e per il pollame, oltre la purumbaja cioè il riposto per il mays, che si chiama purumb o purumbu in valaco. Il mezzo quadro poi di dietro alla casa, è tenuto a giardino, o ad ortaggio, ma il tutto con poca cura, e con meno simmetria.” Op. cit., pp. 11— 12.