fargli, specie in un giorno di festa, una così brutta impressione, senza ricorrere all’aiuto della suggestione che le figure davvero assai grottesche dei prigionieri daci effigiati sulla Colonna Traiana, dovette esercitare sull’immaginazione del nostro archeologo. Al quale vorrei ricordare, se gliene importasse ancora — del che dubito assai, poi che è morto da un pezzo e nell’altra vita è da sperare che gli spiriti non si occupino di simili malinconie vorrei dunque ricordare che la superbia dei raptores orbis terrarum determinò una stilizzazione del tipo barbarico, piccolo, capelluto, impacciato nei larghi calzoni, spirante dagli occhi un fanciullesco terrore e implorante passis manibus la pietà del vincitore, che tiene assai più della caricatura che del ritratto, onde voler trovare il tipo rumeno negli schiavi effigiati sulla Colonna Trajana è un’idea assolutamente balzana, anche dal punto di vista archeologico. Comunque sia di ciò, al nostro Sestini non solo i contadini, ma persino le croci piantate sui confini fecero cattiva impressione: „Ecco poi la Luna Ottomanna eclissata da pezzi di Croci, che si osservano piantate su i confini di tale Provincia; e le quali altro non sono che tronchi interi d’alberi, abbozzati malamente con l’ascia, e formatane una goffa Croce Greca-Valaca, che a prima vista mi sembravano patiboli destinati per il povero genere umano”1. Ecco: quando a un abate danno ombra persino le croci, c’è da credere che sia mal disposto sul serio. È vero, che il nostro non era un abate come gli altri, visto che portava la sua brava parrucca incipriata e le sue brave calze di seta; ma... un odio così poco cristiano per quelle povere croci (che avrebbero invece dovuto dargli un senso di sollievo dopo tanti minareti e mezzelune), non riesco proprio a capirlo, senza supporre che il Sestini, anche prima d’arrivare a Bucarest, cominciasse a capire che il vento non tirava troppo propizio, e che il suo amor proprio avrebbe sofferto non poco di una condizione di cose poco definita. Non migliore impressione gli fece una casa di Călugăreni (ch’egli scrive Kalugherenni) dove passò la notte; pure, la descrizione che ne fa, oltre all’essere quasi in ogni suo particolare veritiera, determina nella fantasia del lettore la visione d’una scena d’interno a grandi luci e grandi ombre, che
- ↑ Op. cit., p. 49.