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ricordati non rappresenta in fondo che un viaggio attraverso la Bulgaria, mentre il secondo, incominciando dalla sua partenza da Bucarest, è piuttosto un viaggio in Transilvania e in Ungheria che attraverso la Valacchia, di cui parla solo di passaggio, e — bisogna riconoscerlo — con non troppa simpatia. Non resta dunque che contentarci di quel poco che il Sestini riferisce del suo viaggio da Giurgiu a Bucarest e del non molto che ci sarà dato mettere a profitto di quanto narra dell’altro da Bucarest ai confini dell’Ungheria. Racconta dunque il nostro viaggiatore, che, lasciati i cavalli a Rusciuck, e poste „le nostre cose in una barchetta di passaggio: andava questa barchetta lontano un’ora e nello stesso luogo, ove dovevamo pure noi sbarcare di là dal fiume suddetto [il Danubio], cioè a Ghiurghievo ove alla riva vi è una fortezza, o forte fatto fare dai Turchi, e in tal guisa vennamo ad entrare nella Valachia, con aver lasciata la fertile, ed abbondante Provincia della Bulgaria...”1. La prima impressione fu tutt’altro che piacevole, essendo da per tutto manifesti i segni della desolazione che la recente guerra aveva sparso nelle città e nelle campagne. „Entrati dunque nella giurisdizione del Principe, lasciammo i cavalli alla Posta della Daja, ove vi è un miserabile casale, essendo gli avanzi, ed il refugio di povere famiglie Valache, che disperse s’erano nel tempo della guerra, vedendosi ancora bruciate le loro abitazioni, e che le presenti si riducevano a miserabili capanne: che essendo appunto un giorno di festa, e riguardando quei poveri abitanti, mi pareva di scorgere quegli antichi liberti, e schiavi a tempo di Trajano, i quali niente hanno degenerato dall’antica loro fisionomia, e brutto aspetto, come appunto rappresentati si vedono nella Colonna Trajana a Roma”2.

Ammettiamo pure che la miseria e la desolazione che il Sestini vide regnare in quel povero villaggio influissero a fargli veder fosco; io non riesco a spiegare come quei poveri contadini (delle contadine3 il nostro abate non parla) potessero

  1. Op. cit., p. 47.
  2. Op. cit., p. 49.
  3. E si che non dovevano essergli indifferenti! Almeno da quanto è lecito supporre da una certa visita che una domenica di giugno „dopo avere adempito al suo dovere” d’ascoltare la messa, si proponeva di fare „alla chiesa degli Evangelisti, per avere un’idea del bel sesso sassone!” Ah, ghiottone d’un abate!