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pastorellerie degli arcadi, e, pur cogli eccessi inerenti alla reazione che rappresentava, fu, il primo sintomo d’un radicale e sano rinnovamento degli spiriti.

Il Sestini, per conto suo, tien più dal Caffè che dalla Frusta: ce n’accorgiamo subito dalla Prefazione al secondo de’ suoi viaggi1, in cui, da buon seguace del Verri, parte in guerra contro la Crusca, dichiara suo unico fine nello scrivere quello d’essere inteso, poco curandosi d’esser annovevato fra gli scrittori che fan testo di lingua, pur di riuscire quanto è possibile esatto, facile e chiaro2. Ciò posto, non potrà farci meraviglia che la sua prosa, come del resto una buona metà della prosa del Settecento, ci si presenti arida, sciatta, ineguale, e solo qua e là si rialzi in virtù di un certo colorito fresco e vivace, che, in mezzo a tanti difetti, non manca di esercitare una certa attrattiva.

S’è già detto della ragion del viaggio, aggiungeremo che il nostro Sestini partiva alla solta di Bucarest colle migliori disposizioni del mondo. Ce ne accorgiamo agevolmente alla simpatia, con cui parla della prima rumena che ebbe occasione di avvicinare, sia pure per poco:

„Ad Arnaut-Kiof ci convenne fermarsi, mediante la pioggia, e il mare troppo agitato. In quell’occasione ebbi luogo di andare a riverire la madre del Principe, ed una sua figlia maritata al Signor Mano, nobile Greco. Conobbi in essa un’aria franca, ed una grazia europea, possedendo anche la lingua francese messa in uso da poco tempo alle corti di Valachia e di Moldavia”3.

Disgraziatamente però, codeste buone disposizioni non durarono a lungo. Il Sestini — pare — non ebbe troppo a lodarsi di Ipsilanti, e della sua permanenza a Bucarest tace coll’ostinazione di chi non vuol rimestare ricordi poco piacevoli. Da questa condizione di cose risulta che il primo dei viaggi sopra

  1. Il Viaggio curioso, scientifico e archeologico in Valachia.
  2. Op. cit., p. VI, dove, a proposito de’ suoi „Viaggi”, li dice „scritti ora a guisa di lettere, ed ora a guisa di giornale con la familiare narrativa di quello che mi è occorso osservare, poco curandomi se i termini del mio dire saranno messi nel frullone o saranno approvati da chi „ne coglie il più bel fiore”. E questo il mio stile adottato per simili scritti, essendo stato sempre il mio scopo d’istruire i miei compatriotti, e tutti quei che mi leggeranno, restando nella ferma idea che un viaggio, bene o male scritto che sia, sarà sempre utile.”
  3. Op. cit., p. 1.